Capriole di fumo #3 - Una specie di tic - TheCio

Capriole di fumo #3 – Una specie di tic

Le capriole di fumo salgono verso l’azzurro del cielo e durano il tempo che devono durare. Guardandole volteggiare ci si può inventare una storia, far rivivere un ricordo d’infanzia, immaginarsi in viaggio verso un mondo di fantasticherie o semplicemente osservarne la rara bellezza.

Lo so, me la ricordo, è quella canzone. Quella canzone che avevamo ascoltato quel giorno, che pioveva e non avevamo preso l’ombrello. Lo so, me lo ricordo perché me lo ricordo. Sei matta? No, non sono matta, ti ho detto che me lo ricordo. Sei matta lo stesso, vieni qui. Eh, cosa credi, mica lo dico per dire sai. Guarda questa gente, questa gente che mangia, e poi i vestiti, di tutti i colori. Guardali. Li sto guardando. Ok. Cosa vedi? Non lo so, gente che mangia e che compra vestiti, credo. No, ma io non dico loro, dico quelli che li abitano, i loro mostri. Tu li vedi, quei loro mostri? Credo di di sì, credo di vederli; ma ora vieni qui, dammi la mano.

Ho paura sai? Anche io, ne ho tanta, ma adesso siamo noi, noi qui con i nostri mostri in mezzo a loro, e sai cosa c’è, che è vero: fa una paura tremenda. Ho paura di svegliarmi una mattina e di accorgermi di aver buttato via tutto il tempo. Stringimi, non pensarci, il tempo poi, sai che ci deve fregare a noi del tempo? Lo so, niente. Ma questa musica, questa gente. Si dicono sempre le parole sbagliate, lo sai questo? A volte mi sembra che il nostro parlare sia solo un gridare muto, mi spiego? Mi fa paura anche questo, più di tutto. Sbagliamo sempre le parole, arrivano troppo tardi, che tutto è già cambiato. Tutto. Il mondo. Io e te. Hai ragione, ma io e te no, io e te siamo una cosa sola, se cambiamo cambiamo insieme, e in questo casino noi ci teniamo la mano forte che non la lasciamo più andare, ok? Non me la lasciare adesso, adesso che c’è il vuoto, che lo vedi? è lì che si rintana sotto al pianoforte, nelle cartacce per terra, nelle scritte sui muri, nel fumo delle sigarette.

Già, sì. Io e te. Ma no, è dell’altra cosa sai. Della vita. Del mio venticinquesimo compleanno, manca proprio poco, quello mi fa paura. Che questa musica una volta era nuova, e risuonava nella mia testa fresca, ariosa, proprio nuova insomma. E il gusto del vino, il sapore del pane, l’odore del mare? Tutto questo adesso è solo cenere che mi si spalma addosso, capisci? Cenere di ricordi sbrandellati, del tempo che alla fine è solo uno sfasamento continuo. Vieni qui, adesso. Io non voglio più parlare, vorrei che ci fosse solo un modo, un modo per sopravvivere, un modo per adeguarsi. Ti prego, dimmelo, tu lo conosci un modo, uno solo?

No, io non lo conosco un modo. Ma sai che c’è, stiamocene zitti, adesso, e ascoltiamo questa canzone, come se fosse la prima volta, come se la stessero suonando in una bellissima piazza di una città che non esiste, e noi siamo al bar sotto l’ombrellone con un raggio di sole che ti passa fra i capelli e il pacchetto di sigarette ancora pieno. Riesci a immaginartelo? Ci provo. Sì, ci riesco. Brava, ecco, siamo io e te, tu col tuo succo d’arancia, io col cappuccino e la sciarpa arrotolata. Credi di farcela? Sì, ce la faccio, ma ho paura lo stesso. Dammi la mano. Non parlare più. Ascolta questa nostra nuova meravigliosa canzone con me. Afferrane le vibrazioni, come se fosse la prima volta, la nostra prima volta. Fallo adesso; anche se non facciamo tempo a dirlo, che è già irrimediabilmente dopo.

Lorenzo Martinotti

A cura di Lorenzo Martinotti

Musicista - scrittore - studente di lettere. Il resto conta poco.

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