Come granelli di sabbia - TheCio

Come granelli di sabbia

Non ho potuto fare a meno, arrivata a casa, di buttare giù almeno una parte di quello che mi stava passando per la testa: è stata un’urgenza d’imprimere su carta le emozioni di questo pomeriggio prima che si confondessero nel turbinio che è l’esistenza. Per chi non sapesse di cosa sto parlando, e per chi come me c’era,  oggi ho avuto il piacere di essere presente al primo incontro, spero primo di molti altri a venire, di un gruppo di ragazzi che sotto lo strano ed evocativo nome di Onironauti – segnatevelo perché sono sicura che ne combineranno delle belle – sono riusciti a riunire una piccola folla e a creare qualcosa di molto speciale.

Forse farà sorridere alcuni di voi e altri penseranno che tendo ad esagerare, ma ancora prima di entrare e scoprire cosa avessero in serbo per noi questi folli visionari, sentivo l’agitazione che si prova quando si ha davanti qualcosa di importante, qualcosa per cui vale la pena esserci. Non sono stata delusa, anzi, nel momento stesso in cui Decio ha preso in mano il microfono, no no, ancora prima, quando già una bottiglia d’acqua era mezza vuota sul tavolo e non si era neppure ancora cominciato a parlare, uno di quei dettagli che parla di lingue impastate dall’ansia, di gole secche per i troppi respiri a pieni polmoni, perché diamine il cuore sembra voler uscire dal petto e scappare via; nello stesso momento in cui l’ennesimo bicchiere tintinnava, svuotato nell’attesa, ho capito che sarebbe stato qualcosa che andava oltre le mie aspettative.

Torniamo, però, a Decio davanti al microfono con la schiena ritta, il suo solito sorriso sornione  e quella capacità d’oratore che in fondo in fondo sa di possedere; parla, parla di società, di se stesso, di tutti noi e con poche parole dirette, semplici, rompe il sottile strato di ghiaccio che ci teneva immobili, sospesi. M’accorgo di riprendere a respirare normalmente e sorrido, questo è l’effetto Decio : un gesticolio delle mani, la voce ferma, mai troppo seria e neppure troppo scherzosa, che ti parla, proprio a te, senza tanti giri di parole e sai che ti puoi fidare.  Ѐ un attimo e lascia la parola a Lorenzo che, tra una frase concitata e l’altra, riesce con una breve spiegazione a mettere tutto se stesso: lo senti nel vibrare della sua voce, nel suo scandire certe parole, perché le parole hanno un peso specifico e lui lo sa bene; questo è un piccolo progetto ambizioso e sono le sue idee ad averlo plasmato, portato alla luce. C’è un pezzo di lui in questa serata, nella scelta di Calvino e Pasolini, dei brani e, anche se di lui so quel poco che ho intravisto in ciò che scrive e nel tono di voce di chi lo conosce, posso immaginarlo scegliere ogni estratto con la massima cura di chi fra quelle carte ci respira, affrontare dubbi e paure e, magari, anche se stesso.

Parte la musica e scatta la scintilla d’avvio, qualcosa s’accende con la voce di Luca – non lo conosco, ma spero mi permetta questa confidenza – e il pizzicare delle corde della chitarra; è riflettore e scenografia al tempo stesso, illumina ed accompagna, adattandosi di brano in brano, perfettamente all’unisono.

Emanuele si avvicina al leggio, sistema il foglio, è teso, penso che lo noti chiunque, ma dopotutto è il primo a leggere davvero, chi di noi non lo sarebbe? Comincia a narrare, dando voce alle parole di Pasolini ed è un effetto sorprendente – quanti di voi lo conoscono potranno confermare o meno quanto sto per dire – ma la sua voce cambia, è sempre lei, la riconosco perfettamente, ma diversa, più calda, quasi ipnotica. Il tono si alza, sobbalzo; ti dimentichi per un attimo dell’ansia, non c’è più il ragazzo che parla ad una piccola folla, ma un messaggio da trasmettere, forte e prepotente. Non si può smettere d’ascoltarle quelle parole di poeta furioso ed è subito chiaro perché la scelta è ricaduta su di te per Pasolini.

A Pasolini segue Calvino, a Emanuele, Lorenzo e i toni cambiano, più morbidi, quasi melanconici. Se Pasolini ti tiene avvinto col fiato sospeso perché non sai quando potrebbe esplodere la sua irruenza, Calvino ti prende per mano e ti accompagna in un racconto mesto, profondo, che ti fa soffermare su te stesso parlando d’altri. Pause misurate per far sì che le parole si facciano sabbia e si sedimentino sul fondo dell’anima.

Torna Decio, tra le mani un libro che mi è caro fin da quando sono bambina, Marcovaldo, e gli dà vita, riuscendo a coglierne il tono umoristico e cupo che, proprio grazie a questo continuo bilico tra il riso amaro e la tagliente ironia, è un pugno allo stomaco.

Potrei continuare per pagine e pagine e rivivere ogni singolo istante di questa giornata, ma mi fermo qui, ai soli primi tre brani. Più delle parole dette – quelle le potete cercare sui libri stampati dalla gente seria – volevo condividere con voi le emozioni. Le mie, sì, ma anche quelle di tre ragazzi che si sono messi in gioco, nonostante le insicurezze, e che hanno dimostrato, spero anche a loro stessi, quanto possono fare.

Io ho ancora l’adrenalina a mille ed ero solo una spettatrice.

Federica

A cura di Federica

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