Le Forme dell'Aria #3 - La bacheca immaginaria dei ricordi - TheCio

Le Forme dell’Aria #3 – La bacheca immaginaria dei ricordi

La mente è una fra le cose più affascinanti di tutta la natura umana. Il funzionamento della memoria, che tende a operare in maniera razionale e pianificata (ma che quando meno ce lo aspettiamo è capace di tradirci, sviarci e ingannarci) è uno dei processi umani che mi diverto di più ad esplorare nei giorni in cui sono libero di viaggiare e di perdermi dentro me stesso. Il nostro cervello, prevalentemente nella regione dell’ippocampo, svolge ogni giorno una funzione di salvaguardia e aggiornamento dei nostri ricordi; in poche parole, ci aiuta in quel misterioso e affascinante processo di selezione e organizzazione dei pensieri, e lo fa principalmente per aiutarci a prendere buone decisioni nel nostro immediato, nel nostro presente e per il nostro futuro, fornendoci una sorta di magazzino di esperienze che ci sia utile per comportarci in maniera adeguata e raziocinante. Il resto del gioco consiste sostanzialmente in una sorta di inconsapevole agire storicista: le azioni che abbiamo compiuto, subìto, vissuto (che formano quello che tendiamo a chiamare “passato”) vengono in seguito contestualizzate e analizzate dal nostro cervello, che produce dei veri e propri significati e li appiccica come adesivi ai nostri ricordi. Ne risulta una sorta bacheca colma di bustine piene di esperienze, o almeno così mi piace immaginarle. Bustine che contengono amori, ginocchia sbucciate, delusioni, persone, innumerevoli oggetti, posti bellissimi, cieli stellati, la copertina di un libro, il sapore dell’acqua del mare; insomma, una sorta di enciclopedia dei fatti memorabili della nostra vita, ognuno con un grosso adesivo ben fissato sopra, portatore di un preciso sentimento legato a quell’evento successo in quello specifico momento della nostra esistenza.

È proprio così che mi piace immaginare la nostra memoria, come la più banale delle immagini che fin da bambini siamo abituati a pensare: un’enorme bacheca immaginaria piena di scaffali, magari suddivisi per anno, mese, giorno (in alcuni casi occorrerebbe addirittura distinguere le ore e i minuti). E sopra ad ogni scaffale, mi piace figurarmi una serie infinita di ricordi plastificati, in alcuni casi indimenticabili, in altri meno, ma mai messi lì per caso perché al nostro cervello andava di farlo. Infatti, è ben noto che quando ci ricordiamo una cosa, è perché con molta probabilità quella cosa ha avuto un forte peso per il nostro cervello, che subito, come un abile addetto ai lavori che non può permettersi di staccare nemmeno per una breve pausa, ha sentito immediatamente necessario registrare; si tratta di un processo in continuo divenire, portato a termine con l’unico scopo di aiutarci a sopravvivere in una realtà fatta di forme spesso ingannevoli e menzognere.

Alcuni ricordi (quelli che teoricamente dovrebbero essere i più importanti) si presentano a noi come nitidi, colorati, vivaci, così dinamici da sembrare vivi. Solitamente questi corrispondono agli eventi che ci hanno segnato maggiormente, e mi piace immaginarli nello scaffale centrale della nostra bacheca immaginaria dei ricordi. Sono proprio quei ricordi che non se andranno mai, come la prima volta che abbiamo fatto l’amore, o il primo giorno di scuola al Liceo, o quella volta che abbiamo imparato una qualsiasi lezione fondamentale per la nostra vita; ma spesso sono anche ricordi dolorosi, che di rado ci piace frequentare e riesumare, ma che sono lì, pronti a balzarci addosso: l’aver perso una persona cara, l’aver subito una grossa delusione, o quel maledetto giorno di pioggia in cui abbiamo preso una decisione in maniere impulsiva e sconsiderata, e che magari ha prodotto un danno irrimediabile o comunque più grosso del previsto.

Se procediamo salendo, negli scaffali più in alto, troviamo tutti gli altri ricordi della nostra esistenza, che sono molto più numerosi, ma allo stesso tempo, un po’ più evanescenti, dai contorni sbiaditi: spesso, addirittura, si presentano sotto forma di un semplice colore, di un odore, di una sensazione, sono come un soffio freddo che ci percorre la schiena o un tremito che ci scalda il cuore. Sono le note di una canzone, le parole di nostro nonno, un paio di Jeans scoloriti, il sorriso della ragazza che abbiamo amato, una macchia di gelato sulla camicia, un camioncino con cui ci piaceva giocare da piccoli, e così via. La nostra mente si nutre principalmente di questi ricordi, e ne va talmente matta che spesso e volentieri ne fa indigestione, così gli scaffali risultano essere decisamente troppo affollati. In questi casi, solitamente, occorre far posto al ricordo più recente a discapito di uno più vecchio, uno di quelli che magari non disseppellivamo da tanto tempo, ricoperto dalla polvere del passato, abbandonato in un angolo remoto del nostro lobo temporale. Ma in alcuni casi eccezionali, la nostra mente (che oltre ad esser ghiotta di ricordi, vi si lega fin troppo facilmente e in maniera ossessiva) fa solo finta di liberarsene, cosicché, quando meno ce lo aspettiamo, quello che pensavamo fosse un ricordo rimosso ci piomba di nuovo in testa, e per qualche giorno non facciamo altro che chiudere gli occhi per ritornarci, magari per trovargli di nuovo un posticino fra un pensiero e l’altro. Le nostre visite a questo tipo di ricordi sono per lo più casuali e involontarie, tant’è che spesso ci limitiamo solo a leggere quell’adesivo fissato sopra alla bustina che contiene il ricordo specifico. Non di rado, infatti, le nostre scelte sono legate al significato che il nostro cervello vi ha applicato; a noi resta solo l’arduo compito di decidere se agire in un modo, o fare l’esatto contrario.

Tuttavia, credo che i ricordi più affascinanti e curiosi siano quelli che si trovano in fondo alla bacheca, negli scaffali più bassi. Questi sono solitamente ammassati l’uno sopra l’altro, tant’è che non di rado tendono a confondersi, a mischiarsi, a contaminarsi, e allora ne abbiamo un’immagine distorta, che non rappresenta più la realtà in maniera esatta (se gli altri ricordi poi lo facciano, questa è una cosa che proprio non saprei dire).

Questi ricordi sono ancor più enigmatici di quelli precedenti. Nella maggior parte dei casi sono scorci della nostra infanzia, sono melodie che non riconduciamo più a nulla, frasi che non sappiamo da chi siano state pronunciate, gite che non sappiamo più di aver fatto, oggetti che non sappiamo dove abbiamo visto, gusti che non abbiamo mai più avuto l’occasione di sperimentare. A volte sono immagini che non riusciamo a decifrare, volti messi a fuoco ma di non sappiamo chi, tramonti interminabili dietro a montagne sconosciute. Ma questi ricordi, che a prima vista potrebbero sembrare i più caotici e labirintici, sono in realtà i pezzi più pregiati della bacheca immaginaria dei ricordi.

Sono le prove della meravigliosa imperfezione della mente umana, segni di riconoscimento dell’immensità della nostra mente, la materializzazione istantanea della nostra insaziabile voglia di sapere. E tutti insieme, magari mischiati in piccoli blocchi a volte indistinguibili, sono quelli che alla fine riescono a farci sorridere nei giorni più bui, che ci fanno volare via con la fantasia. Sono quei ricordi che si staccano dalla noiosa e prevedibile attitudine storicista ed interpretativa per dare spazio alla follia, all’insensatezza, alla leggerezza dell’universo. Sono quelli che affollano in maggior numero la nostra bacheca immaginaria dei ricordi, che ci riempiono lo stomaco quando lo sentiamo vuoto, che ci danno quella che saprei descrivere solo come una leggera scossa al nostro cuore.

Lorenzo Martinotti

Foto di Nicolò Ramella

A cura di Lorenzo Martinotti

Musicista - scrittore - studente di lettere. Il resto conta poco.

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