Vera - TheCio

Vera

#3 di Fiaba Moderna.

 

  • Di’ un po’, ma che cazzo di problema ha la tua amica?
  • Non ha nessun problema. Le piacciono le regole. Proprio come a te, eh, stronzo traditore?

Vera si era appena svegliata. Si stava infilando un camicione lungo e un paio di leggins zebrati.

  • Ma anche ieri sera avevi quell’orrore addosso?
  • Orrore tua sorella. Questi vanno di moda, nonnino.
  • Ma dai, sono in assoluto l’indumento più smosciacazzo della storia dell’umanità!
  • A me sembra che il cazzo ieri ti funzionasse benissimo.
  • Non li avevo visti.
  • La verità è che ti piacciono.
  • Ma non dire cazzate!
  • Allora ti piaccio io.
  • Ti preparo il caffè.

 

Era così dai tempi delle medie. A Matteo piaceva Vera e Vera non era mai riuscita a farglielo ammettere. Il suo amore, Matteo, lo dichiarava solo alle ragazze carine come Vanessa.

“Non sei grassa, hai il metabolismo lento” le ripeteva sua madre, mentre le serviva filetti di platessa e verdura al vapore. Quando aveva dodici anni, i suoi genitori avevano consultato una nutrizionista. Le aveva prescritto una dieta sana ed equilibrata, le aveva fatto fare ogni genere di analisi e aveva consigliato di farle fare uno sport. Non era servito a niente. Dagli esami non risultava alcuna anomalia. Il suo corpo, semplicemente, era in grado di trattenere qualsiasi cosa lei ingurgitasse. Mentre Vanessa spezzava cuori a decine e iniziava a collezionare i primi successi nella pallavolo, lei rosicchiava carote crude e si umiliava, tre volte a settimana, sfoggiando i suoi rotoli di lardo alla piscina comunale.

I ragazzi, a scuola, erano pessimi. La chiamavano obesa ed era sempre l’ultima nella classifica delle più belle. Solo Matteo prendeva le sue difese. Lo faceva sempre, da quella volta in palestra.

Stavano giocando a pallavolo e le due squadre erano pari. Vera aveva mancato una palla facilissima, la campanella era suonata e la sua squadra aveva perso. Vanessa era in squadra con lei. E non era abituata a perdere.

  • Bisogna essere proprio ritardati per mancare una palla così facile – aveva detto.

I maschi, pronti a tutto, pur di compiacerla, avevano iniziato a fare cori e a chiamarla “cicciona ritardata”. Non era cicciona l’aggettivo che la faceva stare male. Ormai ci era abituata. Era l’altra parola. Vera non era fra i più bravi della classe. Non come Vanessa, che aveva dieci di tema e diceva a tutti che avrebbe fatto il liceo classico. Vera però studiava sempre, faceva i compiti e di matematica, qualche volta, era persino più brava di lei. Come quella mattina, quando la prof aveva riportato le verifiche. Le sufficienze, come sempre, erano poche. Due sei, un sei e mezzo, Vanessa aveva preso sette e Vera era stata l’unica a prendere otto e mezzo. La professoressa l’aveva elogiata davanti a tutti e Vanessa non l’aveva mandata giù. Nessuno poteva rubare attenzioni a lei e, chi lo faceva, doveva pagare. Se Vera, quella mattina, con la parte non grassa di lei, era riuscita a superarla, era con quella stessa parte che Vanessa doveva rimetterla al suo posto. Ritardata.

Matteo non sopportava di veder piangere le femmine. Aveva visto farlo troppe volte a sua mamma, quando quello stronzo di papà tornava a casa con le camicie sporche di rossetto. Vera gli stava simpatica. Aveva l’astuccio pieno di gomme da masticare e gliele passava sempre, di nascosto, durante le lezioni.

Quella stordita della Clerici, la prof di ginnastica, stava ritirando i palloni e non si era accorta di niente. Matteo l’aveva fermata e le aveva raccontato quello che era successo.

Vanessa se l’era cavata con un castigo e una nota sul registro. Vera si era presa una cotta destinata a durare molti anni.

L’anno successivo, in terza media, il caso aveva voluto che Matteo e Vera fossero compagni di banco. Vera aveva il terrore che i professori giudicassero l’accoppiata non produttiva, così si impegnava al massimo. In classe, era sempre attenta e, a casa, faceva al meglio i compiti che Matteo, sistematicamente, ricopiava. A Vera non importava: tutto, purché Matteo fosse suo amico.

Verso la fine della scuola, era ormai chiaro che le rispettive attitudini individuali non avrebbero permesso di continuare gli studi insieme. Matteo era bravissimo negli sport e aveva scelto l’ITIS indirizzo sportivo. Lei, invece, brava con i conti e mediocre nel resto, era stata indirizzata a ragioneria.

Vera se le ricordava, quelle sere di maggio, dall’odore di estate e di separazione. Le passava seduta sul pavimento della cucina, con la schiena appoggiata al frigorifero. I piatti nel lavabo, il pavimento da spazzare, le mani piene di schiuma e, nel cuore, una tristezza infinita.

L’ultimo giorno di scuola, tutti i compagni di classe si erano ritrovati al parco giochi. I maschi giocavano a calcio, le femmine si cimentavano negli attrezzi e davano sfoggio delle loro abilità ginniche. Forse per l’estate in arrivo,  forse per la fine della scuola, ma anche Vanessa, quel giorno, sembrava meno stronza del solito. Vera non riusciva a fare il giro della morte con gli anelli e Vanessa le aveva spiegato che, se si dava un piccolo slancio con le gambe, quando era a terra, le sarebbe venuto molto più facile. Vera aveva provato e, dopo due o tre tentativi, con sua grande sorpresa, ci era riuscita. in ginnastica era una schiappa, non riusciva mai a fare niente di niente. Al contrario di Vanessa, alla quale qualsiasi movimento veniva naturale. Per questo, non riusciva a capire perché Vera continuasse a ringraziarla per una stupidaggine simile.

  • Ti piace Matteo? – le aveva chiesto di punto in bianco.
  • No! – aveva risposto Vera, troppo precipitosamente e troppo rossa in viso perché fosse la verità.
  • Guarda che non glielo dico.
  • Che cosa cambia? Tanto io non piaccio a lui.
  • Non puoi sapere com’è una cosa se prima non la fai. Come con gli anelli.
  • Che cosa dovrei fare allora?
  • Vai da lui e dagli un bacio.

I maschi avevano appena finito di giocare. La squadra di Matteo aveva perso e lui, arrabbiatissimo, se ne stava tornando a casa. Lo vedeva camminare verso la sua bicicletta, paonazzo in viso e con i ricci sudati. Era l’ultimo giorno di scuola. Poi sarebbero iniziate le vacanze, entrambi sarebbero partiti per il mare e, a settembre, non si sarebbero più rivisti. Matteo stava riponendo la borraccia nel suo alloggiamento e stava per salire sulla bicicletta, in direzione di casa.

  • Matteo, aspetta!

Tutti i presenti si erano voltati al grido di quella ragazza grassottella, che stava attraversando il parco in una corsa disperata.

  • Che cosa c’è?
  • Non ci vedremo più.
  • Ma sì che ci vedremo.
  • Non come adesso.
  • Ma non dire cazzate.
  • Ti voglio salutare.
  • Ma sono tutto suda …

Vera non gli aveva lasciato finire la frase e gli aveva gettato le braccia al collo. Sentiva le lacrime che le salivano agli occhi. Matteo detestava le femmine che piangono. No, non l’avrebbe baciato.

  • Ciao Matteo.
  • Vera, aspetta!

Ma Vera non aveva aspettato. Era corsa via e, arrivata a casa, aveva pianto. Avrebbe fatto la stessa cosa per tutte le sere del mese successivo.

Matteo era rimasto in piedi a guardare Vera che scappava via, più confuso che mai. Poi aveva raccolto la bicicletta da terra e aveva pedalato fino a casa. Femmine. Che gran casino.

Giulia Trentin

Fiaba Moderna:

#1: Luca e Nadia.

#2: La Mattina Dopo.

#4: Vanessa.

#5: Canapa

#6: Giochi Proibiti.

A cura di Ospite

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