Cade, lì fuori. Piano. Silente.
Said viene dalla Nigeria. Forse dal Camerun. Forse dalla Libia. Un passo dopo l’altro arranca. Fa freddo. Il cellulare è spento e non riesce a chiamare nessuno. Non ha idea di dove si trovi. Deve scappare.
Non ha ancora ben capito cosa sia successo. Gli avevano detto di venire qui, in Europa. Che avrebbe trovato una vita migliore. I risparmi di una vita. Suoi, dei suoi genitori e di qualche amico rimasto a casa. Era andato via. Lasciando tutti i suoi oggetti, a parte del contante, un telefono ed un paio di cuffie.
Il sole sta sparendo dietro l’angolo. La strana luce gioca con i contorni della neve. La temperatura si abbassa ancora di più. Dove si fermerà questa notte? Le scarpe sono rotte. Ormai l’acqua entra ovunque. Era con dei ragazzi, forse dal Libano, forse dalla Siria? La sua famiglia aspettava sue notizie. Quando accendeva il telefono trovava loro messaggi speranzosi di ricevere presto i frutti del suo lavoro.
Al pensiero il respiro diventava corto. No. Doveva concentrarsi sull’attraversare il confine.
Nessun segno di riconoscimento. Chissà se Allah, Dio, Maometto o Gesù erano in ascolto, in quel momento. In alto, un elicottero. Said si spaventa. Era la seconda volta che ne vedeva uno.
Non mangiava da due giorni. L’ultima volta un ragazzo gli aveva dato un pezzo di pizza. O forse era un pezzo di, come le chiamavano, lì in Italia, brioche? Camminava, in avanti, come faceva da quando era bambino.
Al che, Said, guarda in alto e lei scende, silenziosa. Fiocco dopo fiocco.
Domani sarà peggio di oggi.
Un piede davanti all’altro. Cammina.
Cammina.
Cammina.
Nessuno sapeva che era lì. Pensavano tutti che si fosse già trovato un lavoro, come gli altri. Un modo per dare una mano a casa. Il suo amico, Muhammad, non l’aveva trovato. Ad un certo punto, l’ansia, l’odio verso se stesso, la paura, il fallimento, erano stati così grandi che il suo amico aveva deciso di farla finita.
Il suo cadavere era stato catalogato ed era lì, a marcire, in un obitorio. Nessuno voleva seppellirlo.
Questo Said non lo sapeva, ma sentiva dentro di sé che era così.
Said non li capiva questi bianchi. Così diversi da lui. Bianchi, o anzi rosa, bianca era la neve intorno a lui.
Passo. Passo. Nella neve. Solo le sue impronte dietro di lui, ed un nulla davanti a lui. Era così che se l’era sempre immaginata la luna.
Ad un certo punto, la stanchezza. La testa girava. Said si era ritirato in un angolo di se stesso. Intorno a sé, questa coltre, lo copriva. Voleva fermarsi.
Una volta per tutte.
Gli occhi inumiditi. No, le donne del villaggio piangono. Gli uomini lavorano.
Però sembrava quasi calda, questa neve, ai suoi occhi. Era invitante. Sì, si sarebbe fermato solo un attimo.
No. Non poteva. Non doveva. La notte arrivava ed era il momento migliore.
Anche se, solo cinque minuti…
Io sono qui, davanti al pc, che provo a spiegarmi perché il mondo stia andando in questa direzione. Perché a ventisei anni mi trovi in una realtà allucinante, in cui dei robot mi ripetono sulla bacheca di Facebook le frasi del loro capitano. Perché intorno a me il mondo va al contrario. Perché sono qui, a scrivere delle stronzate, sperando di dare risposta a questa grande domanda che c’è dentro di me: perché?
Perché l’essere umano è diventato così? Non voglio rubare le parole al discorso del Gran Dittatore di Chaplin, ma dove potremmo essere ora, oggi, se al posto dell’odio ci fosse, non dico l’amore, ma il rispetto reciproco di un’altra esistenza? Perché mi sembra che tutto quello che io abbia fatto sia insensato, quando ci sono decine, forse centinaia di Said, che ora crepano sotto la neve? Per non parlare delle altre centinaia di ingiustizie, quotidiane, che ci autoinfliggiamo per non so quale cazzo di ragione?
No, Said non lo ospiterò a casa mia. No, non sono un buonista.
Credo che le tasse, che pago, e cazzo se ne pago, debbano andare ai vari Said. Mohammad. Antonio. Gianni. Luisa. Giovanna.
Credo che l’educazione dovrebbe insegnare a odiare il meccanismo che porta alle situazioni peggiori, e chi sfrutta tale meccanismo, e non gli altri sfigati come te.
Credo nello studio, credo nella passione.
E voglio credere, perché sennò non dormo la notte, che Said abbia continuato a camminare e che sia arrivato dove voleva arrivare. Anche se Said è lontano da me, dalle mie idee, dal mio modo di vivere la vita, dalla mia cultura. Lontano come qualunque persona che insulta ed inneggia al tema dell’uomo forte.
Io, uomo che forte sono davvero. Mentre là fuori, cade, silenziosa. E spero, un giorno, di essere almeno forte come Said.
Decio