Colpa del liberismo. - TheCio

Colpa del liberismo.

 

KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERATutto inizia con questo articolo sulle elezioni comunali di Torino. Un’analisi quasi condivisible, finché non si legge: “[…] Ecco l’ingresso della città nell’era cosiddetta postindustriale, con il consueto doloroso corollario fatto di licenziamenti e cassa integrazione. Dietro l’angolo, la caduta del muro di Berlino, l’avvento del pensiero ultraliberista e la globalizzazione, che qui come a Parigi o a Londra fa rima con precarizzazione: del lavoro, e dunque delle esistenze”.

Ed eccolo lì, fare il suo ingresso trionfale come in tutti gli articoli qualunquisti che si rispettino, il liberismo. Declinato nelle sue varie forme, che lo rendono ancora più temibile, come “ultraliberismo”, “neoliberismo” o “turboliberismo”. A voi la scelta. Il liberismo è spesso individuato come il capro espiatorio per ogni male, il fattore esterno terzo ed inevitabile da cui derivano praticamente tutti i mali del paese.

Eppure nell’articolo si cita anche, con una disarmante semplicità e velocità, il problema del debito pubblico Torinese: “[…] Certo la cosa ha avuto un prezzo, basti pensare al fatto che dopo le Olimpiadi ci si è scoperti col debito procapite più alto d’Italia […]”. Questo piccolo dettaglio da 3.5 Miliardi di Euro viene relegato ad una sola frase, quasi come fosse un marginale dettaglio. Eppure è un problema che si porta dietro complicazioni notevoli (di cui potete leggere meglio qui). Tra le altre, la più ovvia: milioni di euro di interesse pagati ogni anno dalla Città, fondi sottratti ai servizi per i cittadini.

Chiaramente questo problema, uno dei principali della città, non è causato da nessuna forza esterna che impone o ha imposto libero mercato, liberalizzazioni e privatizzazioni. Anche perché se davvero ci fossero state forze liberiste in atto (Dio ce ne scampi!) l’ultima cosa da fare sarebbe stata indebitarsi. Quella dell’indebitamento oltre ogni livello razionale è stata una scelta politica di una classe dirigente precisa, perpetuata negli anni, che ha portato a conseguenze altrettanto precise e prevedibili. Nessun ente liberista imponeva a Chiamparino ad inizio anni 2000 la scelta di costruire impianti stabili, che sarebbero rimasti dopo le Olimpiadi, spendendo il doppio di quanto sarebbero costati impianti temporanei.

Eppure il liberismo deve c’entrare qualcosa. Sarà almeno lui il responsabile dell’aver portato Torino ad entrare nell’era post-industriale? Anche qui, lo spettro di questo temibile fattore esterno svanisce di fronte ai fatti della gestione parastatale di FIAT degli anni ‘90. Una gestione ottusa, improntata sul cieco mantenimento di posti di lavoro e senza alcuna visione o piano industriale a lungo termine. I risultati? La quasi bancarotta di FIAT ad inizio 2000, oltre che aver perso la corsa contro i marchi tedeschi su praticamente qualsiasi segmento automobilistico. D’altronde, come spesso si ama ricordare, fino a fine anni ‘80 Alfa Romeo e Lancia competevano ad armi pari con BMW e Mercedes (mentre Audi nemmeno esisteva come la conosciamo oggi). Oltre al danno, poi, la beffa: se guardiamo in altre aree Europee, esistono ancora distretti dell’auto di successo, come il gruppo Volkswagen a Wolfsburg oppure persino il gruppo PSA che, sebbene sia sempre stato e tutt’ora ancora sia gestito in maniera parastatale, almeno è stato mantenuto in vita con successo, con dei piani che hanno saputo guardare al lungo termine.

kCon questo atteggiamento gli errori politici passati, enormi e catastrofici, oggi vengono semplicemente dimenticati. A prendere la responsabilità delle loro conseguenze è invece il liberismo – una forza esterna e oscura che quindi assolve tutti gli attori del gioco (elettori ed eletti). Il risultato? Un paese con una memoria incredibilmente corta, che si butta a capofitto negli stessi errori del passato. Roma gareggia per le Olimpiadi del 2024 e le stesse correnti politiche che hanno governato Torino da 15 anni a questa parte probabilmente continueranno a farlo per i prossimi 5 (d’altronde, quando l’alternativa crede alle scie chimiche è forse meglio così). Alla fine dell’articolo si invita il lettore a “chiedere l’impossibile” alla classe dirigente. Cosa sia questo “impossibile”, però non viene specificato. La perfetta conclusione: ad una non-causa del problema si propone una non-soluzione.

A cura di Il Grifone

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