“Abbracci come abbracciano i bambini.”
Soppesò a lungo quelle parole cercando di decifrare quali emozioni le accompagnavano; sul labile confine dell’ambiguità, era una di quelle frasi che avrebbero potuto essere un complimento o un’offesa e nessuna discriminante per capirlo, se non un’intima inclinazione per l’una o l’altra.
“E come abbracciano i bambini?”
“Con l’abbandono dell’ingenuità.”
Corrucciò la fronte, contrariata per quella risposta ma, ancora prima che potesse esprimere il suo disappunto, il ragazzo aggiunse con la voce carica di un sogghigno trattenuto:
“Come se dovessi dare te stessa in un abbraccio, senza timore.”
Era una frase semplice, diretta questa volta, ma la sensazione in fondo al petto non riusciva a sciogliersi, anzi il nodo sembrava stringersi con forza. Lì c’era tutta la sua vulnerabilità, una debolezza che aveva cercato di ricacciare indietro e soffocare, perché nello slancio leggero dei bambini era facile essere feriti.
L’immagine di una lei bambina che correva incontro al padre di ritorno da lavoro, la fredda corrente fuori dalla porta e i ruvidi baffi contro la guancia morbida le tornarono vividi in un angolo della memoria. Quella spontaneità, persa per rincorrere un falso cinismo dietro il quale nascondere il dolore, di tanto in tanto – o forse sempre – ricompariva in due braccia tese e una stretta forte.
Era la voce a cui non riusciva a dar spazio per la paura che, trattenuta troppo a lungo, esprimeva quanto più possibile in un rapido contatto fisico: ti voglio bene; mi manchi; grazie per essermi accanto, colonna di un palazzo pericolante; tutte le parole che non poteva pronunciare per l’ansia del sentirsi piccoli si ammucchiavano ai limiti dell’epidermide e si facevano strada in piccole ondate di calore corporeo. Per quei pochi secondi il profumo dell’altro cancellava il mondo esterno e immersa nel tepore riusciva a zittire le insicurezze – vespe che ronzano nella testa – pura emotività come forza motrice.
“Non mi piacciono i bambini.”, rispose con una smorfia, sulla difensiva.
“Era un complimento, mi piacciono i tuoi abbracci.”
Gli sorrise, distogliendo leggermente lo sguardo, le guance rosse. Senza le braccia strette attorno alla vita non riusciva a sorreggere il peso delle sue emozioni, troppo soffocanti per aprire bocca e sillabare un grazie o aprire le labbra in un sorriso. Tutta la sua forza a domare il subbuglio interiore dell’imbarazzo, perché quando non si è abituati ad esprimersi apertamente, non si è abituati a ricevere le espressioni altrui.