Sono giorni non belli per me. Le elezioni e la mancanza di soddisfazioni personali, su tanti e vari fronti, mi sta lentamente drenando di energie. E mi trovo la sera, sul letto, a chiedermi se sono in grado di gestire tutto questo. L’assenza di qualcosa che vada per il verso giusto e la conseguente gioia.
Se una parte di me sta lentamente accettando che la vita sia composta di alti e bassi, un’altra vorrebbe in modo disperato portarsi a casa qualche soddisfazione, qualcosa di positivo a cui aggrapparsi in questa tempesta.
Qualche giorno fa ho visto con la mia compagna il film di Steve Jobs e, complice il fatto che Fassbender è uno dei miei attori preferiti, sono ripartito in quel loop in cui ero entrato circa cinque anni orsono: un misto di ammirazione, stupore, incredulità ed immenso vuoto interiore. Da una parte ormai sono conscio di non essere un genio, di non essere un grande imprenditore. Certo, me la cavo, ma non sono nessuna di quelle cose. Dall’altra, una voglia di farcela. Di riuscire a realizzare qualcosa di mio e di vederlo arrivare al suo compimento, a raggiungere quella forma che ha nella mia testa e a cui non riesco quasi mai a dare un compimento.
Nuovamente mi sono sentito vuoto. Ero riuscito, per una piacevole combinazione degli astri, ad accontentarmi della mia vita, di quello che stavo facendo e di come lo stavo facendo. Poi, un film e una grande sconfitta, di quelle storiche, hanno risvegliato in me questa volontà, questa energia, questa fiamma che non riesco a sopire. La sento dentro di me, vicino al cuore, e mi brucia il petto, creandosi un suo posto e generando una profonda insoddisfazione.
Così mi trovo ad aprire il vaso di Pandora e tutta una serie di grandi domande si affacciano alla mia mente, domande che ciclicamente torno e a cui non riesco ancora a dare risposta:
“Perché devo sempre fallire?”
“Perché non riesco ad accontentarmi?”
“Perché finisco sempre per fallire?”
Razionalmente sono conscio che non è affatto vero che fallisco sempre, consapevolezza acquisita negli anni e con un grande sforzo. Ma quella parte di me che mi vuole far sentire sempre come Don Quixote, un po’ per romanticismo, un po’ per masochismo, sembra non volerne sapere di levarsi dalle palle una volta per tutte.
Cosa ho di sbagliato in me?
Niente.
La risposta è esattamente questa. Tutto questo non si può gestire, si vive. Accetto di essere una persona che non si accontenta, che vuole migliorare e che vuole il meglio. Che vuole credere nei suoi sogni e preferisce fallire che non provare a realizzarli. Che preferisce sbattere la testa con la realtà e farsi male che rimanere fermo e con le mani in mano. Che vuole alzare l’asticella e non si accontenta al piegarsi alla mediocrità che ormai viene pure premiata.
Non c’è niente di bello nell’essere mediocri o nell’essere ignoranti, ma io odio chi non è attivo. Chi preferisce parlare e pontificare, piuttosto che sporcarsi le mani. Non è solo facile arrendersi, è ancora più facile ribaltare il tavolo e decidere di smettere di giocare.
Sfidarsi, andare al limite e oltrepassarlo e pagare il prezzo. Ecco. Come gestisco tutto questo e come gestisco la mia vita.
Non importa che Il Vivaio sia morto, perché me lo porto dentro ed un giorno tornerà.
Non importa che da una realtà fantastica questo blog sia tornato ad essere la mia realtà. Con tutti i suoi limiti. E che ha pure bisogno di essere messo a posto spero di trovare il tempo.
Non importa che le urne abbiano decretato la fine di un mondo in cui, nel bene e nel male, mi ci identificavo.
Non importa che ora non sia pienamente soddisfatto della mia vita e di come la sto conducendo.
Il punto è esattamente quello, quel limite, quel valore infinitesimale che esisterà sempre e a cui io combatto, ogni giorno, per arrivarci. Ogni tanto ti porta allo stremo, a crollare, ma il tempo passa e la pelle si fa sempre più spessa.
Ciò che mi avrebbe spezzato, mi ferma un attimo. Ciò che mi avrebbe terrorizzato mi fa muovere in avanti.
Io, l’eroe delle cause perse. Questo sono e questa è la mia croce, il mio essere. E posso serenamente accettarlo, senza viverlo come un qualcosa di sbagliato in partenza.
Decio