Siamo storie che non hanno nulla da raccontare: come i Social ci stanno alienando - TheCio

Siamo storie che non hanno nulla da raccontare: come i Social ci stanno alienando

Social network, Facebook, Like, Storie, Instagram. Sappiamo tutti di cosa stiamo parlando, e lo sappiamo fin troppo bene. L’argomento è trito e ritrito e da un po’ se ne parla come dipendenza, problema, droga, eccesso. Alcuni sono sensibili all’argomento, altri se ne fregano un po’ di più, altri ancora (la maggior parte di noi) lo ammettono, dicono ehi, stiamo davvero troppo al telefono dovremmo darci una regolata, poi subito dopo postano un selfie.

Che tu appartenga all’una o all’altra categoria, sicuramente avrai avuto modo in questo periodo di leggere articoli o guardare video sull’argomento, alcuni sensati, altri piuttosto banali e esagerati, come la recentissima condanna dei messaggi vocali da parte de Linkiesta, un articolo colmo di esagerazioni e puttanate cosmiche (LINK QUI).

Quando si parla dell’impatto sociale dei social network, il succo è sempre lo stesso: i social ci stanno alienando, ci stiamo trasformando in storie che non hanno nulla da raccontare.

Ok. Vi do ragione. Anche io, se rileggo la frase che ho appena scritto, provo un forte senso di nausea. C’è una parte di me che mi dice ancora con questa storia? ho capito, i social, i like come bisogno di attenzioni, siamo malati drogati bla bla bla BASTA. Ma se poi la rileggo con calma e attenzione, cercando di capire se anche per me vale lo stesso, se i social mi stanno alienando, se davvero posso dire di avere un problema… ecco che quella vocina presuntuosa si trasforma in paura.

Siamo storie che non hanno nulla da raccontare.

Eccolo che arriva di nuovo, quel forte senso di nausea, questa volta però verso me stesso. Mi sento una persona di merda e ho paura. E le cose che mi fanno paura sono due.

Paura numero uno: social sono diventati più affascinanti dei rapporti umani.

Anche questa frase puzza di banalità già sentita, è vero. Questa prima paura, a dirla tutta, è perfettamente riassunta in un video di Simon Sinek che tratta dei Millenials e di alcuni temi relativi al rapporto fra i social e l’autostima, un video che ha girato molto e che se non hai visto, ti consiglio vivamente (LINK QUI).

Il caro Simon, fra le tante cose, ci fa notare due aspetti.

Il primo è come i social siano più importanti delle persone.

A volte penso (e ci penso davvero intensamente) a come noi riteniamo ormai normale tirare fuori il telefono durante una conversazione a tavola per fare o guardare storie, penso a come lo tiriamo fuori durante la partita della nostra squadra del cuore, durante un concerto, durante una qualsiasi serata fra amici. A come passiamo la vita sui social mentre siamo in compagnia della nonna che vediamo una volta a settimana. E non posso che dargli ragione:

Caro Simon, lo ammetto, preferisco stare su Telegram e guardarmi qualche storia su Instagram invece che chiacchierare con mia madre e chiederle come è andata la giornata. Sono una persona di merda.

Il secondo aspetto, ancora più interessante, che il caro Simon mette sul tavolo è come i social siano diventanti anche più importanti del mondo che ci circonda.

Mi fa paura anche pensare che il telefono sia diventato il principale strumento per ammazzare il tempo. Quando aspettiamo, camminiamo, siamo da soli, andiamo in bagno, ecco che il telefono diventa il nostro migliore amico. Facendo così, ci siamo dimenticati che essere umani significa anche, ogni tanto, starcene fermi a non fare nulla, e guardare il mondo che va avanti, la città che si muove, le persone che camminano, il cielo mentre viene la sera. Ed è in quei momenti, i momenti dove pensiamo, dove ci ispiriamo, dove ascoltiamo, dove ci fermiamo, che solitamente ci vengono le idee migliori. Idee per il lavoro, per la scuola, per un regalo da fare al nostro migliore amico o alla nostra fidanzata, una cosa che abbiamo letto su una rivista; chi più ne ha più ne metta.

Passiamo alla seconda paura, che a dire il vero, è tanto breve da dire quanto grave e profonda.

Paura numero due: A noi di tutto questo non ce ne frega un cazzo.

È così, non ci sono scuse. Guardiamo video, ci fingiamo sensibili all’argomento, leggiamo articoli, ci sentiamo talmente delle brutte persone che addirittura scriviamo sull’argomento (ogni riferimento è puramente casuale). Ma poi, bastano cinque minuti e una notifica, che siamo già tornati gli automi di prima, con il collo ricurvo e le dita ai mille all’ora. Eccoci lì, visti dall’esterno, i drogati di social, quelli che Sì, ho un problema lo ammetto e non fanno nulla per risolverlo perché non se ne accorgono. Storie che non hanno nulla da raccontare.

Credo che sensibilizzare le persone sull’argomento e renderlo un tema di discussione capace di coinvolgerci tutti sia la strada giusta. Ma soprattutto, credo che un po’ di forza di volontà non ci farebbe male.

Vogliamo cominciare insieme?

Non appena finito di leggere questo pezzo, esci in balcone, prendi una boccata d’aria, guarda la strada sotto casa o sotto il tuo ufficio, pensa alle persone a cui vuoi bene, poi rientra e beviti un caffè coi colleghi o con gli amici, chiedi loro come stanno, che cosa faranno quest’estate, che progetti hanno nella loro vita. E una volta uscito di casa o dall’ufficio, fai domande alle persone che ti stanno attorno, ascolta che cos’hanno da dire, esplora le loro paure, i loro sogni, i loro desideri. Tutte cose normali, ma che piano piano stiamo dimenticando sotto un dito ricurvo che scorre in maniera nevrotica uno schermo, con il solo obiettivo di farci sentire parte di una realtà finta, effimera e triste. Una realtà popolata da un’affollata solitudine digitale.

Lorenzo Martinotti

A cura di Lorenzo Martinotti

Musicista - scrittore - studente di lettere. Il resto conta poco.

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