Cristoforetti - TheCio

Cristoforetti

Oh Ste, tu che sai tutto: mi dici qual è la differenza fra redditività, solvibilità e sostenibilità? Perché ho guardato sugli appunti di Dado, ma non legge che cazzo c’è scritto.

Fede, guarda, non me lo chiedere! Non ci ho capito una sega. Io ho studiato che, per analisi delle previsioni economico-finanziarie relative al progetto imprenditoriale, s’intende una verifica di quanto la business-idea sia conveniente, sia cioè sufficientemente remunerativa rispetto alle altre forme di investimento e se la nuova attività economica abbia solvibilità patrimoniale, solvibilità finanziaria e redditività economica. Altro non so.

Ma dici che chiede gli assetti proprietari e le strutture di governo delle imprese?

Mi auguro proprio di no! Li ha fatti da schifo l’ultima lezione. Se chiede quello, è proprio un gran figlio di puttana!

 

Vanessa era fuori dall’aula. Sentiva i discorsi di quei ragazzi appena più giovani di lei. Avrebbe voluto dire loro di stare tranquilli, Ricci non aveva avuto lo sbatti di strutturare un compito diverso da quello della simulazione. Ma non era nella posizione per farlo. Con l’aiuto di uno specchietto, si era data un’ultima aggiustata al trucco. Si era sistemata i capelli, aveva lisciato la gonna con le mani. Gli studenti del primo anno, quel giorno, non erano gli unici a dover sostenere un esame. Vanessa aveva inspirato profondamente ed era entrata.

Il brusìo era talmente alto che nessuno aveva le sue Jimmy Choo (o, perlomeno, un ottima imitazione) ticchettare sul pavimento. Solo dopo che aveva appoggiato la borsa sulla cattedra e aveva iniziato a collegare il computer, qualcuno si era accorto di lei.

Oh, ma questa chi cazzo è?

Boh! Ma chissenefrega. Hai visto che culo?

Minchia, sì! Me la sbatterei sulla cattedra!

Dici che se la porto a cena diciotto me lo da?

Se funziona fammelo sapere, così mi faccio segare apposta.

I commenti erano continuati finché Ricci non si era degnato di presentarsi. Un silenzio inquietante si era diffuso nella stanza.

Buongiorno a tutti. Gli esiti usciranno lunedì prossimo e la registrazione sarà mercoledì. Fra mezz’ora devo essere a Malpensa, perciò vi lascio nelle mani della dottoressa … Mi ricorda il suo nome per cortesia?

Puntoni. Vanessa Puntoni.

Perfetto. Io scappo che sono veramente di corsa. Il tempo è denaro, ricordatelo sempre. Per qualsiasi domanda, rivolgetevi alla dottoressa … alla mia valida assistente.

Ricci se n’era andato con la stessa velocità con cui era arrivato. L’aula era piombata nuovamente nel casino.

Aspe … Non era Cristoforetti l’assistente di Ricci?

Cristoforetti lo mandano a Boston. Me l’ha detto mio padre.

Ma non doveva sostituirlo la Turotti?

SILENZIO! – Vanessa aveva battuto le dita sul microfono – Prima fate silenzio, prima iniziamo l’esame e prima ve ne potete andare.

Vanessa aveva fatto l’appello e distribuito gli esami.

Avete un’ora di tempo da adesso. Non fatevi beccare a parlare perché vi annullo l’esame.

 

La minaccia, però, non aveva sortito gli effetti desiderati.

Ma pensa te! Avrà preso la laurea l’altro ieri e se la tira come se ce l’avesse d’oro.

Secondo te a chi l’ha data? Ricci o Cristoforetti?

Cristoforetti. Non hai visto che Ricci prima nemmeno si ricordava il suo nome?

Magari, quando se le scopa, chiede solo il numero di matricola. Per la privacy.

I due amici erano scoppiati a ridere.

Era la battuta infelice e prevedibile di due studenti del primo anno. Sarebbe stato stupido aspettarsi una reazione diversa. Ancora più stupida sarebbe stata qualsiasi decisione diversa da quella che Vanessa, a malincuore, era stata costretta a prendere.

Voi due! Vi avevo avvertito. L’esame è annullato.

Che cosa? Sta scherzando? Stavo solo chiedendo una penna al mio compagno.

Doveva procurarsela prima di entrare. Consegnatemi i compiti e uscite immediatamente.

Se non lo facciamo?

Far balzare un appello a due studenti per un commento idiota era decisamente troppo.

Se non lo fate, vi faccio saltare anche la prossima sessione.

I due ragazzi avevano consegnato i fogli, sui quali non avevano scritto nemmeno la data. Erano usciti sbattendo la porta.

Che troia!

Per un secondo, Vanessa aveva pensato di richiamarlo dentro. Costringerlo a scusarsi, fargli chiudere la porta con delicatezza. Non aveva fatto niente.

In gola un nodo e una stretta alla bocca dello stomaco.

Il ragazzo aveva ragione.

 

Pulirò i cessi di tutta Biella, se necessario. Ma tu, Vanessa, continua a studiare.

Aveva reagito così, la madre di Vanessa, alla proposta della figlia di non proseguire con la specialistica. Mentre i compagni di scuola si dividevano fra mare, piscina e discoteca, sua figlia aveva passato l’estate della maturità in casa a studiare. Per tre mesi era rimasta china sui libri e aveva vinto una delle cento borse di studio che la Bocconi metteva a disposizione degli studenti di tutta Italia.

Per i tre anni successivi, aveva mantenuto una media tale da poter continuare ad usufruire dei sussidi dell’università ed era stata la prima del suo corso a conseguire la laurea triennale.

La vita, a Milano, è costosa. Lei e suo marito lo sapevano bene, per tre anni avevano fatto sacrifici. Tutto, pur di dare un futuro alla loro unica figlia ed erano pronti a continuare per i due anni successivi.

Era capitato a suo marito e ad altri ventisette dipendenti. Una delle tante vittime della crisi del tessile, i giornali locali avrebbero dedicato alla notizia non più di un trafiletto.

Suo marito aveva cinquantadue anni. Nessun titolo di studio. Nessuna abilità particolare, se non quella nel lavoro che svolgeva da quando, di anni, ne aveva quindici. La depressione era arrivata in forma di trapunta a quadretti, quella che utilizzava per coprirsi mentre stava seduto sul divano a guardare ridicoli programmi di discussione politica. Non diceva una parola. Usciva solo una volta a settimana per andare a comprare il Prozac. I farmacisti avevano imparato a conoscerlo, non gli chiedevano neanche la ricetta. Gli bastava portare la scatola vuota per acquistare qualche goccia di serenità.

 

Vanessa aveva iniziato la specialistica, International Management, con un senso di angoscia permanente. Barista, shot – girl, hostess, modella, promoter. Qualunque fonte di denaro arrivasse fra le 18 di sera e le 9 del mattino successivo era ben accetta. Arrivava in università distrutta e riposava sul banco fra una lezione e l’altra. I nuovi compagni di corso la credevano la figlia viziata di qualche industriale. Pensavano facesse after tutte le sere e lei non si preoccupava di smentire. Non era male, ogni tanto, fingersi un’altra persona. A fine ottobre, si era presentata un’opportunità. Giorgio Cristoforetti, fedele assistente di Ricci da due anni, aveva vinto una borsa di dottorato in America ed era stato indetto un concorso per occupare il posto che, da dicembre, sarebbe stato vacante.

Media alta, laurea triennale con centodieci e lode. Non c’era da stupirsi che Vanessa sarebbe stata prima in graduatoria. A pari merito, Stefania Turotti, una ragazza che non conosceva. Sapeva solo che era più vecchia di lei. La settimana successiva, entrambe avrebbero sostenuto un colloquio per decidere chi fosse idonea all’incarico. Vanessa aveva fiducia nella politica “Spazio ai giovani” che il nuovo Rettore cercava di promuovere.

Stefania Maria Elena Turotti aveva ventisette anni. La più totale dedizione allo studio le permetteva di arrivare alla media del ventisei, le amicizie e le donazioni all’università di suo padre la alzavano a ventotto. La paghetta settimanale sulla American Express nulla poteva per migliorare i suoi lineamenti da roditore. Faceva shopping tre volte a settimana e passava ogni sabato al centro benessere, ma il suo umore era sempre pessimo. Se sei ricca, essere brutta ti pesa il doppio. Si era risollevata qualche giorno prima, quando il padre l’aveva informata del posto da assistente. Aveva tutti i requisiti necessari e dei colloqui, se ce ne fosse stato bisogno, si sarebbe occupato Cristoforetti. I rispettivi padri erano amici da anni. Un nuovo lavoro le avrebbe fatto bene. Tanti anni di insoddisfazione avevano fruttato qualcosa. Non poteva credere ai suoi occhi quando aveva letto il nome di Vanessa Puntoni accanto al suo, a pari merito nella graduatoria. Conosceva di vista quella sciacquetta, tutta sorrisi e civetterie. Si presentava in università sbadigliando e con due dita di trucco sotto gli occhi. Non sarebbe riuscita a seguire nemmeno un quarto d’ora di lezione, se non fosse stato per le due RedBull che si scolava alle macchinette tutte le mattine. C’era qualcosa di strano se lei e quella sfaticata avevano ottenuto lo stesso punteggio. Doveva fare qualcosa.

Vanessa si stava dirigendo verso la sua aula quando una ragazza con la faccia da cavallo, che non aveva mai visto, l’aveva bloccata nel corridoio.

La settimana prossima ti conviene non presentarti nemmeno al colloquio.

Vanessa aveva servito ad una cena a Milanello fino alle cinque del mattino. Ci aveva messo un attimo a capire chi le stesse di fronte.

I colloqui li fa Cristoforetti. Io e lui siamo amici, come dire, intimi. Risparmia il tempo del colloquio per andare a lavare qualche cesso. Proprio come tua madre, giusto?

La stronza se ne era andata senza lasciarle il tempo di replicare.

Vanessa si era concessa dieci minuti di pianto nel bagno delle ragazze. Chi attacca per primo lo fa solo per paura e quella Stefania aveva tutta l’aria di chi, nella vita, le avesse prese da chiunque. Non credeva alla relazione fra lei e Cristoforetti. Se fosse stato vero, non avrebbe avuto bisogno di intimidirla per i corridoi. Se aveva sentito il bisogno di farlo, era perché Vanessa aveva qualcosa che a lei mancava. Qualcosa che Vanessa era pronta ad usare in maniera spregiudicata. Curioso come una minaccia, di colpo, possa diventare un’opportunità.

Cristoforetti riceveva il venerdì dalle 17 alle 18. Vanessa aveva speso i soldi guadagnati la sera prima per un tubino grigio perla che le copriva appena il sedere e per un paio di scarpe con il plateau. Aveva dedicato mezz’ora all’acconciatura e un’ora al trucco.

Vanessa non conosceva Cristoforetti di persona, quando aveva sostenuto l’esame c’era un altro assistente. L’aveva visto qualche volta in università e in giro, in qualche locale dove lei aveva lavorato. Un metro e ottanta, magro, gilet, mocassini e occhialetti da hipster. Non servivano ulteriori dettagli per chiarire che si trovava davanti ad un coglione. Aveva aspettato le 17.55 e aveva bussato alla porta dell’ufficio.

Mi scusi se la disturbo, professore – aveva insistito sull’ultima parola – Sono una delle due ragazze che, la prossima settimana, dovrebbe sostenere il colloquio per la assegnazione del posto che lei lascerà vacante. Ho un impegno improrogabile e mi chiedevo se fosse possibile anticipare il colloquio ad oggi.

Signorina, vorrei aiutarla, volentieri, ma l’orario di ricevimento è terminato. Credo che dovrà liberarsi e tornare la prossima settimana.

No, la prego! Ci tengo davvero a quel posto.

Io, adesso, devo proprio andare via. Senta, facciamo così. Mi rendo conto che non suona professionale, ma le può andare bene se ci spostiamo a parlarne fuori, signorina …?

Puntoni. Vanessa Puntoni. Certamente, come vuole lei, professore.

Professore, suvvia … Chiamami Giorgio. Posso darti del tu, vero?

Uno spettacolo che andava in scena da generazioni. Giorgio e Vanessa si stavano attenendo al copione.

L’aveva portata a fare aperitivo all’Iguana. Vanessa si era fatta consigliare sul cibo, sul vino e sui posti migliori dove sedersi. Il colloquio era durato sì e no dieci minuti. Cristoforetti l’aveva ascoltata distrattamente e l’aveva corretta un paio di volte, giusto per ridefinire quali fossero i rispettivi ruoli. Il peggio era arrivato quando avevano divagato. Nemmeno tre calici di prosecco avevano contribuito a rendere il suo interlocutore meno logorroico. Cristoforetti aveva un opinione su tutto. Aveva parlato di vacanze, di vestiti e di politica. Si percepiva il piacere perverso che provava nel definirsi un intellettuale di sinistra. Posizione che – a suo dire – gli aveva causato non pochi contrasti con Ricci, notoriamente un berlusconiano convinto. Vanessa dubitava che Ricci si fosse mai abbassato a discutere di politica con il suo assistente.

“Capisci, Vanessa? Io mi sento comunista, ma di un comunismo illuminato. La vera forza va ricercata nella gente, ma bisogna farlo con astuzia. È necessario che, per regolare i rapporti con il popolo, ci sia un disegno razionale, di una mente superiore, se mi passi il termine, spogliandolo, naturalmente, di tutto il significante metafisico che si porta appresso. Prendi, per esempio, un operaio, o una donna delle pulizie. Menti semplici, le cui vite sono scandite dal suono della campana del paesello. Che ne sanno loro di come si manda avanti un paese? Ecco che si rende necessaria la presenza di una forma intelligente maggiore, che ne regoli le dinamiche senza alterarne, tuttavia, gli equilibri. ‘Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni’ come diceva Kant …”

Vanessa, per poco, non era saltata sulla sedia. A Londra, sicuramente, qualcuno si era appena rivoltato nella tomba.

Cristoforetti aveva continuato a blaterare di fantapolitica fino alle undici di sera, quando una notifica su WhatsApp l’aveva riportato alla realtà.

I miei amici hanno un tavolo all’Hollywood. Ti unisci a noi?

Volentieri.

La recita continuava. La battuta più importante di Giorgio era stata pronunciata nella sua Mini Cabrio, imbottigliati nel traffico milanese in direzione della discoteca.

Sei fidanzata?

Vanessa si era riproposta di mentire. L’aveva fatto per tutta la sera, che cosa le costava? Aveva litigato con Luca. Non si vedevano da un mese e lei gli aveva dato buca. No, non poteva fargli anche questo.

Sì, da quasi sei anni.

Cristoforetti era rimasto impassibile. Vanessa si stava chiedendo se fosse veramente possibile che lui non avesse nulla da dire. Poi, se ne era uscito con: “Se, di venerdì sera, lascia da sola una bella ragazza come te, forse è durata anche troppo, no? Carpe diem, quam minimum credula posterum, giusto?”

L’unica cosa in cui confidava Vanessa era che quel supplizio di viaggio finisse il più in fretta possibile.

Erano arrivati all’Hollywood all’una. La serata era iniziata da due ore e nessuno aveva ancora messo piede in pista. Gli amici di Cristoforetti erano tutti seduti intorno ad un minuscolo tavolo di compensato. Era rimasta una sola sedia e lui le aveva proposto di sedersi in braccio. Erano arrivati da mezz’ora e si era già scolato quattro bicchieri di champagne. Si era sfilato un mocassino e, con il piede, aveva iniziato ad accarezzare un polpaccio di Vanessa. Da comunista illuminato a porco in pochi minuti.

Ti va di fare un giro?

Certo.

I tiratori di coca del bagno degli uomini non avevano badato per niente a loro. C’era un odore terribile. “La merda dei ricchi puzza più di quella dei poveri” diceva sempre la madre di Vanessa. Cristoforetti le aveva infilato in bocca la lingua al sapore di vino e la agitava meccanicamente, per prassi più che per reale desiderio. Si era sputato su una mano e aveva iniziato a toccarla sotto al vestito. Con l’altra mano aveva preso quella di Vanessa e le stava facendo segno di sbottonargli i pantaloni. A operazione compiuta, le aveva alzato il vestito e, prendendola per i capelli, l’aveva voltata con la faccia contro il muro.

Prendi la pillola, vero?

Sì.

Meno male. Non mi andava di sprecare un preservativo. Si vede che sei pulita.

Vanessa aveva sentito un leggero bruciore all’inizio. Non era per niente eccitata, il cazzo di Cristoforetti le faceva attrito. Il pavimento era sporco di urina e c’erano pezzi di carta igienica bagnata. Temeva di doversi inginocchiare in quella melma per fargli un pompino, ma quell’infoiato, per fortuna, dopo dieci minuti era venuto.

Guarda che tutto questo l’abbiamo fatto perché ci andava.

Era talmente coglione che, forse, ci credeva veramente.

Il posto sarebbe stato tuo in qualsiasi caso. Sei più giovane della Turotti e, devo dire, anche molto meno racchia, hahahaha …

Vanessa non aveva riso, ma Cristoforetti era troppo preso a riallacciarsi la patta dei pantaloni per accorgersene.

Torno al tavolo con i miei amici. Tu raggiungimi fra dieci minuti.

Vanessa si era sistemata il vestito, si era pulita il trucco agli angoli degli occhi e aveva tentato di pettinare i capelli con le dita. Non un succhiotto, non un livido, nessun segno di cui avrebbe dovuto rendere conto a Luca il giorno seguente. Aveva ottenuto il lavoro.

Si era chinata sulla tazza del cesso a vomitare.

Giulia Trentin

#1: Luca e Nadia.

#2: La mattina dopo.

#3: Vera.

#4: Vanessa. 

#5: Canapa.

#6: Giochi Proibiti.

A cura di Ospite

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