Più passa il tempo più una grande convinzione prende piede dentro di me.
Nella vita ci sono eventi fondamentali, punti di non ritorno. Abbiamo tutti in mente il momento in cui Cesare afferma che il dado è tratto.
O meglio, citando il mio professore di greco del liceo, “la traduzione migliore non è il dado è tratto, bensì il dado è stato lanciato; questo spersonalizza il lanciatore del dado stesso, lasciando un’aurea di fatalità di fronte al fatto che ormai il passo è stato fatto e finchè il dado non avrà raggiunto terra non si potrà vederne il risultato. Con questo Cesare intende affermare che il lancio del dado è un atto quasi indipendente. Ormai è stato fatto, tanto vale attraversare il Rubicone e vedere il risultato che sarà”.
Vedi negli occhi chi questa sponda l’ha attraversata e chi di là c’è ancora rimasto. C’è una comprensione maggiore. Chi è sopravvissuto a se stesso. Chi ha il coraggio di affermare di essere come si è, senza tante cazzate e fronzoli. Quando si inizia a vedere il countdown sulla propria testa e di chi ci sta accanto.
Tic Toc. Tic Toc.
Poi vedi più avanti. Un’altra sponda, un altro fiume. E lì capisci. Non si smette mai di nuotare, di cambiare. La vita è un andare da una sponda all’altra. Sempre avanti, sempre in modo diverso.
Il punto è quando accade la prima volta. C’è chi sul primo passo ci rimane tutta la vita.
Io il primo grande salto, la prima vera nuotata la sto ancora facendo.
Sto nuotando.
Ogni tanto rischio di finire intrappolato in un mulinello, ma trovo chi mi tira sù o ascolta le mie paranoie. Tutto quello che faccio, tutto quello che sono, è solamente una bracciata dopo l’altra verso una sponda. Ogni tanto sembra più vicina, in giorni come questi sembra così fottutamente lontana.
Mi trovo qui, quando avrei già dovuto aver capito molte cose, con più domande che risposte. A fare un percorso fuori di me ma soprattutto dentro di me. In paesaggi brulli dove sono meno solo che in mezzo alla metro all’ora di punta.
Però io ci sto provando. Io nuoto. Vedo chi nuota davanti a me, chi a fianco, chi dietro. E poi chi sta ancora là seduto, che indica noi che nuotiamo e ride, sicuro di sè. Che continua a crearsi pesi per rimanere fermo, maschere, costruzioni su di sè e sugli altri pur di non mettersi a nuotare, spogliandosi di tutto quello che si pensa di essere.
Ci faremo ancora male, ci scontreremo, finiremo in mulinelli, piangeremo. Ma quando saremo felici, lo saremo noi. Non la persona che pensavamo di essere. Non la persona che vogliono gli altri. Un eterno divenire che si mostra a se stesso per come è, non per come dovrebbe essere.
Nuoto.
Una bracciata dopo l’altra.
Per sentirmi vivo.
Per essere vivo.