La sua mano scivola sul vetro senza lasciare traccia.
Una medusa azzurra spunta nel profondo nero della vasca e accosta la lastra, segue il movimento irregolare dei suoi polpastrelli.
Sembrano danzare, l’animale e la sua mano. La luminescenza bluastra le illumina il volto nel momento esatto in cui affianca la testa all’arto. Da dove sono io, dietro di lei, riesco appena a percepirne il riflesso; forse lo sto solo immaginando.
L’immensa stanza buia è per noi. Sono le 11 di sera, normalmente questo posto sarebbe già chiuso. Un amico comune che lavora qui dentro ci ha permesso di restare fino a tardi; mi ha addirittura lasciato le chiavi. In fondo, i danni peggiori che siamo in grado di fare sono quelli che stiamo per infliggerci a vicenda, io e lei.
I fantasmi delle mille persone che siamo state ci osservano da oltre il vetro, hanno assunto la forma di medusa. Si trascinano in acqua i loro lunghi tentacoli come noi ci trasciniamo le parole che stiamo per dirci da almeno 2 settimane.
-Non dovevi parlarmi?- dice mentre si volta. Ora è una macchia nera, un’ombra umana che emerge dalla fluorescenza della vasca dietro di lei. Gli animali alle sue spalle, i nostri fantasmi, sembrano supportarla. Mi chiedo se non sia veramente così, se non sia io ad aver tradito quelle anime; ho tradito anche le mie?
-Volevo vederti. E poi dobbiamo decidere di noi- mi lancio, -restare così non ci facilita la vita-.
Cerco di mantenere un ritmo serrato, rigido e composto, senza tradire il mio nervosismo.
-Eccomi qui, no? E abbiamo già deciso- inspira -anzi, TU hai già deciso. Solo che ancora non te ne rendi conto- ed espira.
-Cosa avrei deciso?- non bado al ritmo, alla pronuncia o al tono, ora, -Di starti lontano? Io non ti lascio andare. Non finisce così, non è possibile. Ci meritiamo i fuochi d’artificio finali.
-Che cattivo gusto, i fuochi d’artificio ad un funerale- sorride, onestamente;
-Mi hai lasciata andare ogni secondo, ogni istante che eri con me; sono nata e morta almeno un milione di volte. Sono divenuta, accanto a te. Ho chiuso gli occhi mentre bevevi il caffè; li ho riaperti ed ero già nuova. Ho inspirato mentre dormivi e l’aria uscendo si è portata il cadavere di chi ero 2 secondi prima.
Ho preso sonno, ho abbandonato il corpo che stavo lasciando con serenità, ne avrei trovato un’altro al mio ritorno sulla terra degli svegli. Ma non c’era. E non c’eri neanche tu-.
Si ferma e guarda in basso.
So dove stiamo andando. Anzi, so dove stiamo arrivando. La differenza è lì; se stessimo “andando” ciò non escluderebbe un secondo obiettivo, un secondo luogo. Ma noi stiamo proprio arrivando.
La sto veramente osservando piantare l’ultimo chiodo nella sua bara: quando anche quest’ultimo proiettile di metallo sarà al suo posto, lei svanirà e io resterò solo con tutti questi fantasmi blu a farmi (controvoglia) compagnia.
Non sono così sicuro di voler restare qui, ora. La mia mano sudata cerca le chiavi in tasca. Il tocco mi rassicura per qualche breve secondo, poi torno smarrito allo stato di prima. Nemmeno piantarmi una delle chiavi appuntite nel pollice sembra rassicurarmi. Sento il rumore secco della pelle che si spacca, nella mia testa.
Le meduse ballano più veloci ora, seguono flussi e correnti a me invisibili e creano geometrie che lasciano tracce profonde nei miei occhi. Qualcosa non mi torna, qualcosa che non riesco a vedere; cosa diavolo mi sto dimenticando?
Apre le bocca nell’istante in cui il vetro esplode, con un boato da far sanguinare le orecchie.
Ci immergiamo nei nostri fantasmi; loro sanno stare a galla, ma noi?
E. F.