Erano le sette del mattino.
Stavo riflettendo mentre scrivevo. Dopo una notte insonne, tentando di salvare la mia carriera universitaria. Questa però è una storia per un altro momento, sempre che finisca. Ero lì, che guardavo le mie parole, che parlavano di passato. Della mia storia. Di quello che è già scritto.
Avete presente quando, ad un certo punto, siete scesi così a fondo nell’autocommiserazione che l’unica cosa che potete fare è iniziare a ridere? Ero lì, davanti alla mia storia degli ultimi anni (quando mi sveglio e non mi ricordo, cosa è successo negli ultimi anni,cosa è successo negli ultimi anni? Cit) e niente. Mi asciugo le lacrime, mi guardo riflesso nello schermo del PC e inizio a ridere. Il mio coinquilino si era appena alzato per fare colazione.
“Allora? Mandata?”
“Ci siamo quasi, sono ai ringraziamenti.”
Un ridere un po’ isterico, un po’ sardonico e tanto autoironico. No, non autoironico del “dico di essere autoironico e di prendermi poco sul serio così alla gente sembro umile e entrano in connessione con me e capiscono che alla fine sono solo un maiale che sguazza nel fango come tutti”, autoironico per davvero. Era un modo di quello che rimaneva della mia capacità cerebrale di dirmi “guardati attorno”.
Sì, ad ora. Nell’adesso. In questo momento. Preciso. E un po’ nel domani.
Non siamo definiti solo dalla nostra storia. Non siamo definiti solamente da quello che è stato. Sembrano frasi filosofiche da baci perugina, però arrivano quei momenti in cui ti rendi conto che è proprio così. Possiamo svincolarci da tutto quello che siamo stati, ogni giorno.
Ho capito, quella mattina, alle sette, di avere davanti a me l’infinito. Dietro, una storia, quello che sono stato. Davanti a me, tutto quello che voglio provare ad essere.
Ora, proverò ad essere serio. C’è una cosa, nella mia vita, di cui vorrei avere il coraggio di parlare con tutti. Di fare qualcosa per tutti coloro che ci stanno passando o ci sono passati. Di uscire da questo anonimato e tentare di fare qualcosa, in modo concreto. Un po’ la paura di ripensare a quel periodo, un po’ quella strana sensazione che hai quando una parte di te smette di fare male. Un poco, ti viene da pensare che forse male non ti ha mai fatto, che stavi esagerando, che facevi l’ipersensibile.
Poi ricordi.
Oggi, in queste parole, per quelli che mi leggeranno, mi limiterò a dire: passerà. I brutti periodi passano. Come anche quelli belli, per carità. Ma se accettiamo che quelli belli passano, e lo sappiamo, dobbiamo anche diventarne consapevole per quelli meno belli. E che spesso fanno crescere molto di più.
Vorrei avere parole migliori, e spero un giorno di averle.
In questi mesi sta finendo una parte importante della mia vita. Sono pronto a lanciarmi in tante altre avventure. E forse, farò finalmente il grande passo che da anni guardo dalla distanza e mi Impegnerò, con la mia faccia. Per chi ci è passato. E per me stesso, anche in Politica.
Forse.