“Caffè?”
Un messaggio alle due e mezza di notte, mentre stavo tornando a casa, a caccia di qualche Pokémon nel nulla della notte pollonese.
Ore diciotto. Davanti al pc. La morosa sta fumando, guarda il cellulare. Tu con un occhio allo streaming della partita di rugby, un altro buttato all’ora sul cellulare, sperando di non fare troppo tardi. Bam, minuto 40, esulti come una faina, l’Italia ha fatto meta, chiudiamo il primo tempo in vantaggio sugli inglesi (perderemo poi la partita).
Sei vestito, un po’ con il fomento dentro, un po’ ancora rincoglionito dalla serata di sabato.
“Lore, ma cazzo, le basi! Non si torna a bere birra dopo un cocktail!”
Amici, amici di amici, progetti, sogni, camminiamo e cerchiamo di tirare fuori qualcosa.
“Decio, un ora ogni tre settimane ci siamo visti!”
“Eh lo so, dobbiamo darci una mossa.”
Camminiamo e parliamo. Peri-patetici. Ognuno di noi che si arrabatta, giorno dopo giorno, mese dopo mese. Chi si laurea, chi lavora, chi passa le sessioni e chi si incazza per non aver fatto quello che voleva fare. Tutti capacissimi di vedere le capacità degli altri, incapaci di capacitarci delle nostre, di capacità.
Cosa fai, cosa non fai, dove vai. Siamo tutti presi dalle nostre vite, dalle nostre preoccupazioni.
Un altro, in ritardo, si ferma a salutare un altro gruppo riunitosi, più o meno, per le stesse ragioni. Ad una certa prendiamo e ci sediamo tutti insieme. Un po’ conoscendoci, un po’ no.
Non sono mai bravo in queste situazioni. Ci sono quelli arrivati, che se la sanno giostrare, che salutano tutti. Io faccio fatica a salutare chi voglio bene e a mostrarmi per quello che sono, figurarsi con chi conosco poco. Ma si crea quell’ambiente di familiarità.
Ci si guarda un po’ tutti. Chi parte, chi arriva, chi non sa dove sta andando, chi non sa se sarà assunto e chi guarda al domani con un grande punto interrogativo dipinto sul volto.
Siamo felici?
Mi pongo questa domanda, quando butto un occhio a destra e uno a sinistra. Intrecci di relazioni e di vissuti che si confondono, fra il fumo delle sigarette e mezzi sorrisi di chi di cose, insieme, ne ha viste parecchie. A destra un Fratello. Davanti a me una Amica e gli Amici. A sinistra la Morosa. Morosa che con un sorriso mi ricorda il sapore che ha l’acqua dopo un allenamento intenso.
Ci sono settimane, come questa che si sta concludendo, in cui riesco solo a sentire il peso dei miei fallimenti. L’immagine si fa sfocata, tutto quello che sono scompare, nel mare di quello che vorrei essere. Un Amico migliore, un Moroso migliore, un Figlio migliore, un Lavoratore migliore, uno Studente migliore.
Però oggi ero lì, a prendere un caffè. Mentre gli altri parlavano e io, con il cucchiaio, giravo quel piccolo mare marroncino, pensavo alla sera prima. Al momento in cui mi trovavo. Alle disavventure mie e degli altri. Al sorriso dell’Amico la sera prima mentre, come sempre, mi lamento delle mie cazzate. All’Amica che ti porta sempre alla realtà. Al fatto che il giorno prima ho cenato in una casa in cui mi sento accolto. Al pranzo che mia madre ha preparato per me, la Morosa e mia sorella, in soli venti minuti, perchè “Ci tenevo a farvi provare questa ricetta”. Al “Che pizza vuoi stasera?”.
Alla fortuna di avere una quotidianità. Conquistata e sudata. Alla quale spesso dono molto meno valore di quello che meriterebbe.
Non so dove andremo a finire, ma se qualcosa ho capito, è che la fortuna di passare il sabato sera e la domenica pomeriggio in mezzo a Persone non è qualcosa di così poi scontato.