Disclaimer: spoiler per chi non ha visto Breaking Bad e Hannibal
Ho passato anni pensando di avere dentro di me un immenso buco nero. Lo riempivo di “cose”. E più lo riempivo più mi sentivo ancorato a terra, incatenato, incapace muovermi e correre. Così ho passato la maggior parte della mia adolescenza, oscillando fra l’ansia e l’indolenza, fra l’agire in preda al panico al non agire scazzato. Era un peso sempre più grande. Io continuavo, oscillando da periodi di concentrazione estrema a abissi in cui era difficile capire dove stesse andando il tutto.
Iniziai, a febbraio, nella oscurità della mia stanzina, a scrivere un romanzo dove il protagonista sognava ogni notte di mangiare i suoi colleghi. Tutte le notti addentava la loro carne, la strappava e la ingurgitava, così, a freddo. Poi il mattino si svegliava e viveva la sua vita da bravo impiegato e padre di famiglia. Un uomo perfetto con un perfetto problema che si presentò nella sua vita come una stagista di 25 anni, però ora chiudo qui che magari un giorno lo scrivo davvero, questo romanzo.
Intanto, mentre il padre di famiglia tentava di non dormire e quando dormiva aveva gli incubi, più passava il tempo e più io allontanavo il momento delle decisioni, quelle importanti. Quando la realtà ti si palesa davanti puoi decidere di scappare nell’altra stanza, come avevo sempre fatto, o di provare a tirarci fuori qualcosa, come mi trovai costretto a fare dalle circostanze.
In questo modo, fra una avventura e l’altra, mi trovo all’alba dei ventiquattro anni. Qualcosa ho capito. Ho una fame tremenda. Più passa il tempo e più ne sento i morsi. Voglio assaggiare esperienze nuove, voglio sentire sulla barba il sapore di nuovi fallimenti e il cuore che batte per qualche altro successo. Per le cose belle bisogna faticare, non ti arrivano come regalo dall’alto perché sei tu. Quando però ti arrivano, è il momento di buttarsi e prendersele.
Prima o poi il momento della verità arriva per tutti, quando la persona che ci siamo costruiti va a cozzare con la persona che siamo davvero. E da quel meraviglioso scontro, può nascere solo l’estrema sintesi di una bellissima battaglia. Se la si vuole vincere ovviamente. Perché la tentazione all’arrendersi, al vedere ogni fallimento come una tacca di vergogna e non come una lezione, al lasciarsi vivere dalle sfighe quotidiane e umane è grande.
Viviamo come se fossimo gli unici a sperimentare tutto quello che ci capita, quando ogni giorno decine di milioni di persone vivono esattamente, a grandi linee, giornate simili alle nostre. Tutte le mattine in metro incontro persone diverse e questo all’inizio mi straniva, ora mi emoziona. Chissà chi incontrerò oggi, chi insulterò perché mi pesta il piede, chi mi guarderà stranito per i romanzi rosa che leggo in metro. Va a sapere.
Forse un giorno mi calmerò e smetterò di prendere tutto di petto, magari succederà, ma ora io ho una grande fame di vivere questi miei anni. Voglio assaggiare i muscoli della rabbia, la birra delle lacrime, il vino della sobrietà e il mal di testa del giorno dopo. Voglio fare un sacco di errori per imparare chi sono e dove voglio andare. Voglio continuare a sbagliare, se i miei sbagli sono belli come lo sono stati quest’anno.
Se qualcosa ho imparato è che gli sbagli li facciamo tutti, pure io. Solo che ora ci rido sopra. E non vedo l’ora di farne tanti, tanti, tanti, tanti altri. Per poi, magari, una volta, riuscire ad imbroccare la strada giusta.
Per le cose belle però bisogna faticare e mettersi in gioco.
Fare quello che odiamo fare.
Nel mio caso, comportarmi da uomo adulto.
Ma ci provo, almeno questa volta.