Io sono un cattivo.
Ho messo la mia anima a posto il giorno in cui scelsi di fare economia e non filosofia/psicologia. Sono parte del sistema e anzi, sono il peggio, sono un agente autosostenente del sistema stesso. Un piccolo ingranaggio, decentemente oliato, di quello che, molti dicono, a parole, di voler distruggere o annientare.
Non è stato facile per me accettare questo.
Di essere efficace ed efficiente, di essere una parte che fa perfettamente clic e porta avanti la macchina. Ho avuto periodi di crisi, in cui rifuggivo quello che ero e quello che stavo diventando. Il terzo anno di triennale, di fronte alla laurea imminente, decisi ancora una volta di confermare questa mia scelta, continuando il percorso a Milano, il cuore pulsante (nero e marcio, direbbero alcuni) del sistema in Italia.
Il mondo così come è non mi piace.
Ho sempre tentato, in piccolo, di cambiarlo. Ma purtroppo ho sempre avuto una tendenza al compromesso, al fine giustifica i mezzi, all’azione più che al pensiero, al fare più che al parlare. Purtroppo io così sono nato, non fatto in un modo diverso. Ho passato anni a combattere la mia natura, ma una volta accettata, almeno ho la consapevolezza delle mie azioni.
Una via di scappatoia, però, l’avevo trovata negli ultimi anni ed era la musica. I concerti.
Non mi inoltro in definizioni di musica indipendente, di indie, di mainstream e altre menate. Ero abbastanza sicuro che sfuggisse a tutte quelle logiche per cui lavoravo ogni giorno, credevo fosse un modo per evadere e per “finanziare”, in un certo qual senso, un’alternativa allo stato attuale delle cose.
Cercare musica che ascoltano in pochi, che merita di essere ascoltata, che sia per il messaggio o per altro. Credevo, me idiota, che essendo fuori da una serie di dinamiche avrei trovato intorno a me persone che non condividevano tutto quel mondo di “vestirsi uguale”, “parlare uguale”, “dire le stesse cose”.
Invece no.
Ho passato un due anni a sguazzare in mezzo ad una marmaglia di colore diverso, ma identica alla marea grigia in cui mi ci trovo da cinque anni. Certo, con il tempo sono riuscito a crearmi un mio paradiso di conoscenze “colorate”, “vive”, non piccoli cloni di una massa inerte ma Persone con una Individualità. Andando alla ricerca di una proposta musicale differente, pensavo di trovare persone più affini a quel modo di vedere le cose. In grado di andare oltre all’apparenza, alla moda, a quello che va in quel momento e a cercare di dare uno sguardo diverso alle cose, passando attraverso la musica, mia unica valvola di sfogo in questo piccolo mondo di replicanti.
Dopo aver letto questo articolo, dopo essermi visto innumerevoli date di innumerevoli gruppi “non” mainstream, ho visto semplicemente una marmaglia di colore diverso. Vestita diversamente da quella che tutti i giorni si reca negli uffici, ma che spende più o meno la stessa quantità di denaro per uniformarsi.
Incapace di guardare oltre al modello conformato ed autoconformante che anche loro stessi propagano ogni giorno, ponendosi come una critica statica della situazione, come un “io sono diverso da voi ma uguale identico a loro”. Insomma, semplicemente un’altra tribù di umani, dove per essere accettato devi essere come loro e guai a te a dire che la musica ti piace quella che piace a loro.
Come puoi, Calcutta, suonare in un Arci, e poi finire in un disco di J Ax e Fedez? Il primo, uno che gridava di essere contro il sistema ed i reality show e poi divenirne un alfiere. L’altro, che fa spendere €25 per 25 minuti di dj set in playback a centinaia di bambini adoranti? Non riesco a capire.
E voi, che vi ritenete tanto diversi, che pensate di essere isolati dal sistema nelle serate vegan, alternative, ecosocialfriendly, come vedete che alla fine tutti, quando sentono il profumo del soldo, si buttano dietro al Fedez di turno, salvo poi essere dimenticati nelle nebbie del tempo.
Non farò l’errore di fare di tutt’erba un fascio, e forse solo io ho visto in persone come Calcutta una volontà di ritenersi contro il sistema quando invece si vuole fare solo musica ed anzi questa stessa volontà viene ascritta loro dai fan adoranti, quando questi ultimi potranno essere sostituiti dal classico uomo qualunque, una volta raggiunta la fama.
Forse ho il dente avvelenato io perché musicalmente non lo trovo un granchè rispetto a tante altre band non famose che conosco e lo assurgo a simbolo di questo contrasto che probabilmente vedo solo io.
La musica, per me, è una parte decisamente importante della mia vita.
Mi serve per sfogarmi, per essere me stesso, per lanciare un messaggio, per trovare quell’energia per affrontare la vita di tutti i giorni, quella in cui sono me stesso, cioè una non-rockstar, un semplice pezzo di metallo di una macchina più complessa e grande di me. Ah e sì, mi piace esserlo, perché è quello che sono, non altro.
Giovedì sera, però, sono andato alla mia quarta data dei Ministri in un anno e mezzo. Ed ho trovato tutto. Quella rabbia. Quel messaggio sociale. Quel porsi davvero in contrasto con le parole e con i fatti. Con il parlare in modo chiaro e tondo dal palco, mettendosi da un’altra parte rispetto a dove le cose stanno andando. Dichiarando in modo cristallino il proprio schieramento ed i propri intenti.
E lì, anche se ormai sono un cattivo, in mezzo a amici che son buoni per davvero (e per questo un pochetto invidio), quando dal palco ho sentito dire “Siamo e rimarremo Anarchici”, non ho potuto fare altro che sentirmi bene.
Non tutto è perduto.