Le Forme dell'Aria #1: Il paesaggio delle relazioni finite - TheCio

Le Forme dell’Aria #1: Il paesaggio delle relazioni finite

Esiste un gruppo di esperti viaggiatori, precisamente della razza dei viaggiatori della mente, che ha cercato di teorizzare una geografia dei rapporti umani, un atlante di paesaggi con una loro vegetazione precisa, un clima proprio, una fauna specifica e delle personalissime e originalissime caratteristiche.

Fra i vari territori che si possono incontrare all’interno dei numerosi paesaggi dei rapporti umani, ci si può imbattere in quello che comunemente viene chiamato paesaggio delle relazioni finite. Tendenzialmente, non è un posto che si visita piacevolmente, tantomeno ci si va di propria spontanea volontà. Nel paesaggio delle relazioni finite ci si finisce per lo più per caso, per colpa o al massimo per sbaglio. È vero, qualche volta ci si finisce anche per voglia, ma tendenzialmente la voglia coincide in realtà con il precedente desiderio di andarsene dal cosiddetto paesaggio delle relazioni stabili, non preoccupandosi ancora minimamente del fatto che per arrivare sani e salvi al paesaggio dei single, una visita a questo spiacevole posto resta pur sempre obbligatoria.

Solitamente il paesaggio delle relazioni finite è composto da una vegetazione arida e riarsa, verrebbe quasi da dire bruciata, forse da un sole decisamente troppo incandescente. I fili d’erba rinsecchiti crescono casuali su un terreno fragile, per cui bisognerà fare attenzione ad essere più che mai leggeri e a muoversi con passo accorto, se non si vuole precipitare in qualche buca causata dal terreno eccessivamente franabile. Ogni tanto, se si ha fortuna, si possono vedere spuntare dei fiori, dei tipi più belli e profumati che ci siano; ma poi ecco che poco dopo scompaiono e riappaiono in un’altra forma, da qualche altra parte. Alcuni fra gli esperti viaggiatori sostengono che si tratti dei “fiori dei bei ricordi”, ma nessuno ha mai voluto provare a coglierne uno per paura di rompere questo processo istintivo di rinascita primaverile; anche perché la primavera, e come lei così l’estate, sono stagioni che non sempre sopraggiungono nel paesaggio delle relazioni finite.


Tendenzialmente il clima è molto variabile: si passa da energici temporali di lacrime a forti nevicate di dubbi, da giornate di incandescenti rimorsi a notti ventose di fredda solitudine. Per questo motivo, chi accidentalmente capita in questo ambiente sfavorevole (arrivandoci, per forza di cose, impreparato) deve tentare di sopravvivere al clima ostile cercando ripari di fortuna, magari buttandosi nel “fiume dei rancori” quando fa troppo caldo, oppure cercando riparo all’interno delle “caverne delle promesse mancate” nei giorni in cui fa più freddo, o ancora, durante le frequentissime e violentissime piogge, sotto ai noti “alberi delle bugie”, unici esemplari che si distinguono dalle altre piante per la copiosa quantità di foglie attaccate ai loro rami lunghi e nerissimi (sempre gli esperti viaggiatori dicono che ogni foglia corrisponda a una bugia).
Nessuno di questi ripari sembra però essere soddisfacente, così il malcapitato non potrà far altro che cercare nel modo più veloce possibile di attraversare il paesaggio e cercare la più vicina via d’uscita.

Ma la cosa più caratteristica del il paesaggio delle relazioni finite è che, fatta eccezione per i “fiori dei bei ricordi”, non vi è alcuna traccia di colori. Tutto è in bianco e nero, come in una vecchia fotografia sbiadita. La cosa eccezionale, però, è che il bianco e il nero sembrano ora sfumare, ora incrociarsi, ora scambiarsi di posto, mischiarsi e diventare un nuovo colore, un unico e pesante grigio piombo, poi dividersi per ritornare al loro stato originario, dando vita ad una sorta di anarchia cromatica.

Fra le numerose teorie degli esperti viaggiatori sui paesaggi delle relazioni finite, quella relativa all’anarchia cromatica è sicuramente la più interessante: durante il corso della loro vita gli uomini hanno sempre cercato di razionalizzare i rapporti umani, sovraccaricandoli di categorie che spesso e volentieri risultano poi impossibili da applicare. Ma questo fa parte del loro essere, non possono che lasciarsi attraversare dalla convinzione che tutto quanto, in un modo o nell’altro, abbia delle regole, dei procedimenti giusti e dei procedimenti sbagliati. E che ogni cosa, ogni sentimento, ogni gesto e per giunta ogni pensiero corrisponda ad un colore ben riconoscibile. Ma nel paesaggio delle relazioni finite questo procedimento mentale vede in atto il suo stesso fallimento: tutto si mescola, nulla è distinguibile, il nero e il bianco giocano a confondersi, a non farsi acchiappare, a cambiare in continuazione le regole del gioco.

Se dunque si capita accidentalmente in un posto come questo e si vuole sopravvivere, non resta che provare a mettere a fuoco la realtà abbandonando il tentativo di cercare di razionalizzarla. Conviene senza dubbio avere un approccio più emotivo, più umano, più istintivo, ricordandosi sempre che, con molta probabilità, se ci si guarda indietro si potrà scorgere un’altra persona; e più la si vedrà avvicinarsi, più sembrerà una persona familiare. Sembrerà di volerle bene, ci si ricorderà di averla addirittura amata. E se queste due persone proseguiranno mano nella mano, forse riusciranno a farsi compagnia durante questa lunga e complicatissima attraversata, che inspiegabilmente, può portare un po’ dappertutto, un po’ da nessuna parte.

Lorenzo Martinotti

foto di Nicolò Ramella

A cura di Lorenzo Martinotti

Musicista - scrittore - studente di lettere. Il resto conta poco.

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