Ci guardo. In queste sere c’eravate un po’ tutti, qualche mancanza si notava. Anche questo 2016 volge al termine. Diventiamo adulti, ci laureiamo, troviamo un lavoro. O anzi, proviamo a fare tutto questo, con successi alterni.
Ci lanciamo in progetti, andiamo a concerti, riusciamo a pagarci qualche spesa da soli.
Siamo in chat con amici che lavorano in Irlanda, Francia, Germania, Inghilterra. Ci dividiamo fra le grandi metropoli italiane, cercando di dare un senso a tutto questo muoversi diventando un po’ cittadini del mondo, con case che hanno contorni sempre meno fissi. Torniamo nei nostri luoghi di nascita. Ci vediamo con chi è rimasto e con chi, come noi, se ne va ma alla fine torna sempre.
Ogni sera, in questo anno, le piccole certezze. In un piccolo luogo virtuale, che sminuendo definiamo “la chattina”. Le risate per qualche immagine scema, le discussioni politiche. Il “come stai, cosa facciamo questo weekend, dove andiamo camminare?”; “dobbiamo organizzare una festa che mi sento il fomento”; le immagini di tette, come se non avessimo mai compiuto più di quindici anni.
Le chiamate con la famiglia, brevi scambi di parole per fermare e confermare. La complicità dei fratelli e delle sorelle.
Avere il coraggio di rischiare. Avere il coraggio di andare oltre le paure. Iniziare ad assumersi sulle spalle problemi veri, problemi grandi, che vanno oltre il “che palle” e il “mai una gioia”. Guardare alle nostre storie e a quelle di chi ci sta intorno con quasi un distacco di chi, ormai, un paio inizia ad averne viste. Tornare ad essere bambini e dimenticarsi di tutto quello che si ha visto, di fronte alla meraviglia di un sorriso.
Iniziare a capire di non essere infiniti.
Conoscere Persone. Sentire e vivere Affinità in brevi attimi, una volta che si capisce che è inutile mettersi maschere e giocare a fare altro da ciò che siamo.
Ho pianto in una piazza vuota. Ho cantato su di un palco. Ho letto Calvino di fronte a quaranta persone. Ho toccato un cantante che faceva stage diving. Ho osato. Ho corso. Mi sono liberato. Ho perdonato. Mi sono svegliato da un sogno, con la macchina che non ripartiva perchè non vive d’amore, ma di elettricità. Ed un Fratello che ti viene in soccorso.
Ma, più di tutto, sono stato estremamente fortunato. Ad avere intorno Persone e non cartocci.
Battaglie combattute insieme, alcune vinte, molte perse. Serate in montagna, serate nei boschi, cercando di costruire un futuro per un gruppo di ragazze e ragazzi. Discussioni infinite di fronte ad una birra o ad un caffè, continuando a spingerci oltre I nostri limiti per dare una forma al nostro domani, insieme.
Passeggiate in montagna e nella pianura, parlando o ascoltando in silenzio la sinfonia della natura.
Feste. Le mattine dopo le feste. Le bottiglie vuote raccolte. Le confessioni all’ombra della luna. Gli schiaffi e gli abbracci.
Attraversare paludi metaforiche e decidere di tagliare ponti che facevano solo più male.
Arrivare a capire, un giorno di Novembre, che diventare adulti non vuol dire non aver paura. Ma andare oltre, e scommettere insieme su un qualcosa di grande, che va oltre la dimensione del singolo e diventa condiviso. Trovare negli occhi di quella persona la stessa forza, per (ri)cominciare a crederci.
Questi sono gli anni migliori della mia vita, della nostra vita. Gli anni in cui decidiamo di essere ciò che siamo. Nonostante tutto.