“Andrea, conta con me. Uno.”
“Uno.”
“Due.”
“Due.”
“Tre.”
“Tre.”
“Quattro.”
“Quattro.”
“Apri gli occhi.”
Un lunedì mattina come un altro, Andrea si sveglia. Si alza, e segue le istruzioni scritte sul post it attaccato allo specchio. Sveglia Marta e Marco, porta la colazione a Giulia. Doccia. Barba. Sopracciglia. Colazione. Denti. Abito. Cravatta. Lascia Marta e Marco a scuola.
Giulia nel frattempo è in autostrada che si dirige a Torino. Arriva di fronte alla Sfinge, naviga con la sua macchina fino al parcheggio di Porta Susa, parcheggia.
Marta viene interrogata di storia. Prende otto.
Intervallo.
Marco viene preso in giro perché grasso. È la quarta volta, questo mese, che, prima di tornare in aula, va in bagno, si incide una piccola riga sul polpaccio destro e ferma le lacrime.
Marta prova a non incrociare gli occhi del professore che la guarda troppo intensamente. Mentre prende appunti, nota l’ennesimo sguardo al suo seno. Un piccolo accenno che pare esistere solo a lei. Troppo pudica per poter fare qualcosa e parlarne con il suo ragazzo, seduto tre file più in là, totalmente ignaro di tutto, che finge di prendere appunti, disegnando ghirigori su un quaderno di infinito.
Pausa pranzo.
Andrea si dirige al tavolo. Ancora oggi la segretaria è lì che lo guarda. Si siede e inizia a mangiare il suo piatto di carbonara. Mangia una forchettata per volta. Il piede della segretaria si avvicina di nuovo. Oggi Andrea si chiede quanto manterrà il contatto prima di spostarlo facendo finta di niente. C’è stato un periodo in cui la segretaria aveva smesso di farlo. Al quarto giorno di astinenza si era seduto di fronte a lei e aveva accostato il suo ginocchio a quello di lei. Per un minuto intero.
Giulia mangia la sua insalata con le colleghe. La prima parla di suo papà che non si sente bene, la seconda della sua ennesima avventura. Giulia confessa che è un po’ stanca di questa routine, vorrebbe andare un po’ in vacanza con Andrea, fare l’amore per ore come facevano all’inizio della loro relazione. Oggi era già tanto se stavano a contatto l’una dell’altro per più di dieci minuti.
Marta e Marco mangiano insieme i panini che ogni mattina Andrea prepara loro. Marta nota un lieve alone rossastro sulla gamba di Marco e lo abbraccia. Lui finge per un attimo di infastidirsi, poi si lascia andare fra le braccia della sorella e sospira. Il suo ragazzo arriva e li abbraccia entrambi. Prima della fine della pausa pranzo, due ragazzi del terzo anno si ritrovano con le mani doloranti, dopo che il ragazzo di Marta e il suo migliore amico decidono che Marco ha subito abbastanza per questo mese.
Il capo di Andrea decide che oggi sarà lui la vittima della sua frustrazione. Il Dottore aveva passato tutta la vita finora pensando che ogni anno sarebbe stato l’anno in cui la sua azienda avrebbe fatto il botto, passando da un fatturato di dieci milioni ad almeno il doppio se non il triplo. Credeva che l’ennesima ricerca da lui ritenuta rivoluzionaria avrebbe portato il suo laboratorio su tutte le riviste di settore.
Guidando l’azienda ogni volta in quella direzione che si rivelava poi essere sbagliata, sfoga il suo nervosismo sulle sue risorse migliori. Andrea lavora lì da cinque anni. Per gli orari, lo stipendio e la locazione, non può abbandonare il lavoro.
Quindi subisce.
Uscendo dall’ufficio la segretaria lascia ad Andrea un biglietto. Dopo tutto, pensa Andrea, oggi potrebbe essere un lunedì davvero diverso. C’è il numero di una stanza, prenotata per il sabato successivo.
Giulia torna alla macchina.
Andrea prende Marco e Marta. Marco viene lasciato al corso di arti marziali, che ormai buca stabilmente da un mese, andando a fumarsi le sigarette con i suoi amici dietro alla palestra. Marta, invece, va a nuotare. In tutto questo Andrea va a fare la spesa.
Torna a prenderli.
Arrivano a casa.
Mettono a scaldare le lasagne, fatte da Andrea la domenica mattina. Marco prepara la tavola. Marta spegne la televisione. Giulia apre la bottiglia di vino e versa un bicchiere a lei e ad Andrea. Un dito a Marta. A Marco ancora niente, è troppo piccolo.
Si siedono, in silenzio. Sul piatto, davanti a loro, una maschera, bianca, sorridente. Prendono l’elastico e se la mettono. A Marco sta ancora stretta, si sente un po’ soffocare dietro ad essa. Marta, invece, ormai è pienamente a suo agio. Giulia, un pochino meno della figlia. Oggi, in questo lunedì, uguale e diverso ai lunedì degli ultimi cinque anni, Andrea guarda il piatto e non trova la sua maschera.
Riflesso nel bicchiere di vino, vede che la indossa già.
“Quindi, da quanto ti senti così?”
“Mio padre morì circa cinque anni fa’. Ci mise un mese ad andarsene. Non gli dissi mai quanto gli volevo bene, anche se ho passato anni della mia vita ad odiarlo.”
“E?”
“I miei figli non sanno che aveva avuto una relazione extra coniugale, per la quale mia madre entrò in una depressione che durò cinque lunghissimi anni. Avevo diciannove anni, allora. Non che avessimo un grande dialogo, ma prima della mia adolescenza ogni tanto parlavamo. Quando lo scoprii, non riuscì più a parlargli. Ci sedevamo a tavola, mangiavamo e ogni giorno era come quello prima e quello dopo. Fino a quando mia madre ricominciò ad uscire di casa, il giorno della mia laurea.”
“Lei sa tutto quello che abbiamo visto. Dico, sa che succede davvero.”
“Sì. Purtroppo sono sempre stato bravo a capire le persone e mi è bastato fare attenzione a qualche particolare. Anche se non ci vuole un genio per capire che se Marco non dimagrisce non è per la corporazione, ma bensì perché non ha mai frequentato neanche una volta le lezioni in palestra. Ormai Marta non riesce nemmeno a provarci più. Giulia, invece, sta iniziando a stufarsi. La sto per perdere.”
Mentre parlano, la stanza è in una stasi. I figli sono immobili. Il Dottor Z torreggia con la sua altezza da dietro le spalle di Andrea.
“Non ti sta stretta?”
“No. Ed è per questo che sono venuto da lei.”
“Capisco. Andrà poi dalla segretaria?”
“No. Ma ogni giorno sento Giulia che si allontana sempre di più.”
“Tiene ai suoi figli?”
“Certo. Ma nessuno mi ha mai spiegato come fare il padre. Non ho idea di come aiutarli. Giulia non vede quello che vedo io, non capisce quello che capisco io.”
“Potrebbe iniziare a fare quello che suo padre non faceva: parlare.”
Così Andrea si toglie la maschera ed inizia a piangere. Le lacrime scendono, creando solchi sulle sue guance, ogni goccia lenta corre per raggiungere la terra.
Marta non ha una espressione. Vacua. Le manca il fiato.
Marco è arrabbiato. Con se stesso. Con il padre. Con la madre.
Giulia riesce finalmente a muovere i suoi lineamenti e a sentirsi madre. Madre sofferente, moglie incapace di risolvere il dramma che ha davanti.
“Questa è la vita, Andrea. Quello che mi descrive è tutto sommato uno scenario che rientra nello spettro di quella che è la normalità di questo nuovo secolo. Però, lei, ha deciso di venire da me, per andare oltre.”
“Si può fare?”
“Certo. Sarà un percorso lungo per lei e sua moglie. I suoi figli potrebbero avere qualche problema con i voti per qualche mese, ma sono convinto che la loro forza stupirà loro stessi ma in primis voi.”
“Perché la maschera?”
“L’importanza delle domande. Se qualcuno le chiede come va, lei risponde tutto bene, anche se in realtà non va tutto bene. I suoi figli prendono esempio da lei. Sua moglie non ha idea di quanto stia succedendo. Mi dia le maschere.”
Giulia, Marco e Marta sono scomparsi. Rimangono, sui piatti, le loro smorfie sorridenti. Al posto degli occhi, un buco. Il sorriso, irreale, che si estende per quel centimetro in più fuori da quello che siamo abituati. Il Dottore le prende, le impila, e mette un accendino in mano ad Andrea.
“Le bruci. Le faccia cadere.”
Le fiamme si alzano dalla terra. Ricoprono Andrea, il salotto, la cucina, il divano, la macchina, la laurea, il paesaggio fuori dalla finestra. Sono fiamme che scaldano dentro.
“Uno.”
“Uno.”
“Due.”
“Due.”
“Tre.”
“Tre.”
“Quattro.”
“Quattro.”