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Alle sette inizio a preparare la valigia. Camicie, pantaloni, PC, Play-Station.
Ecco, mi rendo conto che in 4 parole riassumo la mia vita settimanale. I miei “abiti da lavoro”, ed il mio “tempo libero”. Oggi è il sei di Agosto, una domenica.
Domani si lavora.
In questo treno, sono con altre persone, e, soprattutto, non sono solo. Ogni settimana ci imbarchiamo in queste avventure che non sappiamo dove ci porteranno, a fare lavori con stipendi che, di certo, dopo 5 anni di studio non ci aspettavamo. Siamo qui, a fare errori, a sbagliare, a tentare di crearci una vita. Chi studiando, chi lavorando, chi provando a cambiare lavoro e a lanciarsi nell’infinito.
In tutto questo, dalla nostra parte, ci siamo noi stessi e le nostre famiglie. Abbandonati, nella pratica, da uno stato e da generazioni che si sono mangiate il nostro futuro. In una narrativa dove non contano gli anni di studio, le esperienza di vita, no, conta la “merda che devi mangiare perchè hai appena iniziato”.
Però, come ho sempre detto, se si tratta di mangiare merda, pur di avere, un giorno, la possibilità di fare di testa mia, meglio di me non c’è nessuno, anzi, direi meglio della nostra generazione, non c’è nessuno. Siamo qui, sommersi di notizie di “giovani che rifiutano lavori”, “giovani fuoricorso”, “giovani fancazzisti”, “giovani drogati”, “giovani che pensano solo alle ferie al posto di divertirsi”.
Nessuno, però, che parla mai dei giovani che si pagano le lauree. Di quelli che non vedono l’ora di avere uno stipendio per diventare economicamente indipendenti. Di quegli altri che hanno iniziato a lavorare il prima possibile, per poter scrivere la propria storia. Di tutti quei giovani che combattono ogni giorno contro una società che non li aiuta, anzi. Nel lavoro “giovane” = fancazzista, lento, non sa quello che sta facendo. Nella politica “giovane”= deve fare la gavetta. Nei TG “giovane”= fuoricorso/drogato/pozzo elettorale infinito dei cinque stelle.
No.
Io sono giovane, sono le ventiequarantotto, e sto prendendo il treno. Lavoro perchè la mia famiglia può permettersi di mantenermi, ogni mattina mi alzo e faccio un’ora di metro all’andata e una al ritorno. Sperando in un contratto che mi permetta, quantomeno, di pagarmi l’affitto. Stringo i denti. E assieme a me, centinaia, migliaia, di giovani che hanno studiato e stanno provando a sudarsi un posto nel mondo.
E sapete una cosa? Noi ce lo prenderemo. Qui, in Italia, o da un’altra parte.
Poi, per carità, ci sono anche quei giovani che accettano semplicemente le regole del gioco, sono contenti di fare la loro parte, e a loro tutto questo va bene. Mi ricordo di certi compagni di corso bocconiani contenti di regole assurde, che avevano dei sorrisoni a 32 denti quanto venivano premiati per la loro assertività.
No, mi spiace. Siamo in tanti. Stiamo combattendo. E quando sarà il nostro turno, non permetteremo che questo accada di nuovo.
O avremo fallito come generazione, come giovani, e come singoli.
Fine.