Oggi è un lunedì e vi voglio parlare di una parola: l’incertezza. Da un mesetto circa i poverini che si trovano a parlare con me, sanno che ho un pallino che non riesco a togliermi dalla testa: la fine della nostra generazione.
Chiamiamola ossessione, più che pallino. Cosa stiamo combinando? Questi benedetti millennials, che hanno mezzi che la storia neanche avrebbe potuto sognare e che, un tempo, li avremmo trovati solamente nei libri di fantascienza.
Ne sono un suo esponente a tutto tondo, forse nella parte medio alta degli smanettoni, però sono e resto, in parte, prodotto del mio tempo e di tutte quelle dinamiche e profilazioni che giornalisti e studiosi vari ogni giorno ci propinano.
E i millennials di qua, e i millennials di là, e sono attivi politicamente e non sono abbastanza attivi politicamente, e non sono in grado di pensare al proprio futuro, e sono troppo concentrati su se stessi e sui like, e la rava, e la fava e bla bla bla
Poi ci raccontano che scappiamo all’estero, che non studiamo abbastanza, che siamo choosy, che però ragazzi è importante andare e tornare, ma non scordatevi di guardare i dati di assunzione prima di scegliere la laurea, signora mia, come faremo, una volta con la laurea si trovava subito, sa, mio nipote ora, bravo ragazzo eh, tanto caro, laureato, mica lavora! È dovuto emigrare, e poi è tornato e ora ha un blog con dei suoi amici, speriamo che si trovi un lavoro vero, proprio senza glamour.
Mi sembra che sia chi parla di noi, sia noi quando parliamo di noi, siamo una grande barzelletta.
In tutte le nostre sfumature.
Da quello che si trova benissimo dentro le dinamiche malate di questo secolo, a chi fa l’estremista di sta ceppa, salvo poi avere un profilo Facebook, Instagram, Whatsapp e far contento il buon Mark Zuckenberg.
Io stesso, questo blog, rappresenta in parte l’assoluta mancanza di attaccamento alla realtà che ha la mia generazione, l’incapacità di connettersi col reale e con i suoi problemi veri. A farci mille paranoie per due like sulla nostra foto profilo, quando manco sapremo se avremo le pensioni. A invidiare i traguardi degli altri, andando in paranoia quando stiamo per raggiungere i nostri.
Ragazze e ragazzi, ma è vita questa?
Questo continuo alternarsi fra un modo di vivere e un altro, contando il numero di like e visualizzazioni, per crearsi una armatura alle vere domande del domani: “Quando andrò a vivere fuori di casa?” “Quando potrò smettere di chiedere di aiutarmi ai miei genitori?” “Quando troverò il lavoro giusto per me?”
Siamo qui. Incerti.
Incapaci di trovare un calore in noi stessi e quella fiducia per fare il passo nell’ignoto. Credo che sia giunto il momento di prenderci quello che ci meritiamo, quella penna con cui scrivere la nostra storia. Lasciando quelle domande non risposte e provando a darci una mano l’uno con l’altra, condividendo le nostre gioie e le sofferenze.
Ricordandoci che un amico risponderà sempre al telefono, che i nostri problemi sono poi, alla fine, condivisi da almeno una persona sulla faccia della terra. Tenendo bene a mente che, anche nei momenti più bui, non siamo mai soli.
Speranza per noi c’è. A patto che decidiamo di alzarci ed andare a prendercela.
Sì, sembra la classica chiusura profetica di stocazzo, però davvero, se la nostra generazione vuole contare qualcosa e non diventare semplicemente quella che ha lasciato che le cose continuassero a declinare, nell’inerzia di tutto, tocca proprio a noi, non ad altri.