Vorrei poter narrare di qualche mia avventura epica, di una grande storia d’amore, della mia ricerca di un senso a tutto questo. Invece, oggi, questa sera, vi voglio solo raccontare di come mi sento.
Cioè nè bene, nè male.
Una assoluta mediocrità, un “no, non ho niente da raccontare”. Nulla di nuovo, nulla di figo, niente per cui scattarmi selfie o scriverci sopra. La vita va avanti e io le sto dietro, mi limito a farmi emozionare da qualche canzone e dal sole che si alza e scende ogni giorno. Ascolto un nuovo cd, gioco online con i miei amici, vado in palestra, penso alla tesi.
Zero ansie, zero sbattimenti.
Come un lago sono tranquillo, qualche sommovimento di qui e di là. Sono ormai abituato a vivere emozioni e credevo che fosse questo il senso della vita. Mi trovo un po’ anestetizzato, a fare conversazioni che non credevo che sarei mai stato in grado di gestire in tutta tranquillità, senza paranoie e prendendo sonno.
Vivo la vita e la trovo ordinaria.
Ho la fortuna di potermi alzare per andare a lavorare, poi di avere un minimo di tempo da dedicare a me stesso. Ogni tanto esco. I weekend vedo la mia famiglia e i miei amici. Tutto procede come deve procedere. O come non deve procedere, ma nulla che mi cambi eccessivamente le giornate. Certo, mi agito, ma poi mi risveglio nella consapevolezza che mi agito per il gusto di agitarmi ed avere qualcosa per cui agitarmi. E allora passa anche quello.
Una parte di me vorrebbe vivere una emozione forte, che gli cambi le giornate, che diventi il fulcro della mia esistenza. Una missione superiore, per cui piangere, lottare, vivere ed infine morire. Mi chiedo se riuscirò a sentirmi di nuovo così, se questo cielo che mi sembra troppo spesso grigio non sia proprio grigio e basta.
Ho passato mesi a creare castelli in aria sul nulla e arrivo a domandarmi se o sono io che stronzo e vedo sempre cose dove non esistono o se non esistono e basta. Così vado avanti, nel bene e nel male. Apprezzando quei piccoli attimi di vicinanza. Nulla più.
Del resto, che senso avrebbe stare con qualcuno solo per non stare da solo?
Ormai è più da un anno che sono single, ed è una condizione che da adulto mi sembra ancora lievemente strana. Del resto ho passato tutta la mia vita da “grande” praticamente assieme a qualcuno. Invece, ora, nessuno che aspetta un mio messaggio la mattina o la sera, nessuno da chiamare a cui raccontare i miei problemi, nessuno a condividere le mie battaglie giornaliere.
Così ho imparato, forzatamente, a cavarmela.
Giorno dopo giorno.
Notte dopo notte, soprattutto.
Mi ricordo una notte, appunto. Vagavamo per via Italia, piangendo la nostra eroicità distrutta dalla pioggia e chiesi a due amici se avrebbero scambiato la loro vita attuale per una ragazza. Non ricordo le loro risposte, la mia invece sì, ed era un perentorio no. Non penso che in questo momento della mia vita vorrei avere una relazione sconvolgente, una grande storia d’amore.
Forse non è così anche per voi, la fuori, che ogni tanto ci leggete?
Sono ormai combattuto fra il decidere se vale la pena di soffrire per amore o diventa amare il soffrire. Viviamo in un mondo in cui vediamo in tutti i cazzo di film l’eroe che si innamora, realizzato pienamente anche nella dimensione sentimentale. Ma chi le racconta le storie di quelli che stanno da soli? Chi si prende la briga di raccontare, soprattutto, come va a finire dopo il “vissero per sempre felici e contenti”?
Quando il principe azzurro si sveglia una mattina ed è depresso, e non può farci niente, e non lo dice a Cenerentola per paura di rovinare la loro splendida storia d’amore, che finisce poi comunque per rovinare divenendo una versione sbiadita e grigia di sè? O quando Belle inizia a bere, per non dire a Bestia che è stufa di trovare i suoi cazzo di peli ovunque? O di quando Ariel ripensa al tritone Gianmpiero, che tante volte aveva respinto ma di sicuro la amava più di quel cretino coi capelli neri?
Ha senso scannarsi, fare casino, “la grande storia d’amore”, per poi vedersi inaridire ed arenare in piccoli ostacoli quotidiani?
O forse la vera grande storia d’amore è vedersi per quello che si è, cioè due sacchi di carne che si piacciono a vicenda e decidono fra esplosioni, insicurezze, momenti di crescita di passare un po’ di tempo mano nella mano, senza dire tante belle parole e farsi tante belle promesse, ma semplicemente vivendo il proprio rapporto come una parte della propria vita, ma non il fulcro di essa.
Io credo che mi accontenterei di una compagna che condivida con me un pezzo della sua vita, senza tanti problemi. No, accontentare è la parola sbagliata. Sarei contento ci fosse qualcuno che desideri condividere con me la sua vita.
Ma finchè non c’è, non andrà più male.
Ma neanche bene.