Dopo serate come quella che ho appena passato, appena finisco di mettere a posto e gli ultimi highlander (e chi è tornato a darci una mano) ci saluta, mi sento sempre un pochino più vuoto di prima. Persone con cui ho condiviso un bel momento, tornano alla loro vita di tutti i giorni, pranzi in famiglia, chiaccherate con la morosa.
Ora sono qui, all’ombra, con il sedere su di un divano e i piedi su di una sedia. La testa ancora un pochino annebbiata, fra i postumi e le poche ore dormite. Mi guardo attorno, tutto in ordine. In lontananza il crepitio del fuoco che brucia ancora. Sento le macchine che passano e si dirigono alla piccola e semplice vita domenicale.
In questo momento di limbo, fra il “come va, come è andata, quante sedie avete distrutto questa volta? (una!)” e lo sfogo fisico della domenica pomeriggio, mi assalgono quelle domande e i dubbi. I rapporti cambiati, le persone che prima mi salutavano con un sorriso ed ora siamo rimasti ad un ciao, i dubbi su questo blog e sul salto che ho voluto fargli fare, sulla totale assenza di aspettativa che ho nei confronti di questo spazio, sul fatto che è vero, a chi, come me, si trova a vivere il mondo da “preso male”, questo blog non dona nulla se non, magari, un’altra prospettiva dell’essere “presi male”.
Poi il più grande dubbio mi assale, domanda che tutti mi pongono e a cui io ho sempre paura di dare una risposta: “Luca ma il giorno che ritroverai l’Amore, cosa farai? Chiuderai tutto questo?”
Nelle parole di Lorenzo: “Sì, me lo immagino, che ci dice di andare a farci fottere, noi, questo blog di merda e tutto il resto. Biondo ossigenato con un orecchino e la tipa dietro sulla sua Harley mentre va verso l’orizzonte.”
Ho pensato molto a questa frase. A questi dubbi che mi colgono in questi momenti in cui sono totalmente staccato da ogni forma di contatto sociale, in cui torno ad essere solo con me stesso. Allora mi alzo, cammino, vedo tutto in ordine. Della legna. Tavoli di plastica. Due barbecue. Mi chiedo se questo possa bastarmi. Ieri sera ho fatto un atto di scelta. Direi politica, di sicuro ideologica. Ho scelto me stesso. La mia intimità. Quelli che per me contano. Quelli che mi rendono felice. Quelli verso cui non ho pretese, non chiedo nulla, se non essere se stessi perchè io voglio bene a loro così. Come sono.
Senza dover fingere, senza doversi nascondere dietro a quelle maschere che ci rendono socialmente accettati ed accettabili. Semplicemente noi stessi. Piacere a chi vogliamo piacere per come siamo davvero. Certo, non sono una persona facile, sono strano, come strano è il modo in cui cammino. Ho imparato a fatica ad accettare che non possiamo piacere a tutti, che nella vita certe persone non accetteranno il nostro vero sè.
Il rifiuto è la cosa più bella, perchè ad ogni rifiuto capisco meglio chi sono. E cosa mi rende, oddio no, quella parola non posso usarla, mmm, ecco dai, e cosa mi rende sereno.
Le risate.
La carne che si stacca dall’osso e ha quel gusto agrodolce della fatica per prepararla e dell’affumicatura.
I limoni.
La legna, impilata.
Il riuscire a sollevare un tavolo da solo.
Gli amici che vengono a darti una mano a mettere a posto.
Il fuoco.
Le amiche che ti guardano e ridono.
Il vuoto, perchè prima c’era qualcosa e quindi c’è stato e quindi ci sarà.
L’essere contento per qualcun altro e per quello che ti ha detto.
L’avere il coraggio di mettere per iscritto tutto questo.
L’avere il coraggio di pubblicarlo.
L’avere il coraggio di continuare e di non scappare, chiudendomi di nuovo, come quel lontano ottobre, a tutto il mondo.
Ecco. Queste sono alcune cose che mi fanno “prendere bene”.
E scusate se è poco.