Quattro foto e sette pezzi di cuore donati - TheCio

Quattro foto e sette pezzi di cuore donati

Dovete sapere che uno scrittore è tante cose. Uno degli aspetti di coltivare questo mio lato mi ha fatto capire come sia un po’ una sanguisuga: ruba di qui e di lì, prende dei colori degli altri e mescolandoli col proprio pennello dipinge una storia. Come saprà chi ogni tanto esce con me, quando sento delle perle le scrivo sul mio taccuino virtuale “per il romanzo”. Che non è solo quello che sto scrivendo, ma anche i dieci dopo.

Ma in primis uno scrittore massacra te stesso. Aspiro a diventare veramente uno scrittore, ma devo dire che a massacrare me stesso sono bravissimo. Mi disseziono, mi apro e provo a capire la consistenza. Mi assaggio, mi gusto e vivo ogni singolo sentimento fino alla sua essenza più pura. In questi mesi ho preso in mano la mia vita e ho fatto molti più errori che nei sette anni precedenti. Amicizie rovinate, litigi, pianti, mi sono portato a non dormire notti per il dolore ai muscoli, il male alle gambe che non mi lasciava quasi respirare. Sto gustando il piatto, facendo la scarpetta con le dita fino a spelarmele.

Questa sera, complici due chiaccherate e qualche messaggio, ho deciso di fare un ulteriore passo nella mia vita. In questo passaggio all’età adulta. Benchè abbia sulla carta ventitre anni, sono ancora lontano dal potermi definire un Uomo. Sono un ragazzo, non più un ragazzino che gioca a fare il quarantenne maturo, ma comunque ancora un ragazzo. Per diventare Uomo (e quindi me stesso) so che dovrò farne di strada e che significherà soffrire, faticare, piangere ancora di più e arrabbiarmi in modi che neanche pensavo potessero esistere.

Così, ho preso la mia macchina e ho scattato quattro foto di quattro luoghi. Non sono mai stato un ottimo fotografo, ma credo che saprò sempre cosa vorranno dire per me, benchè lo scarso risultato che vi evito. Casualmente, erano tutti coperti dalla nebbia. Rifiorivano i ricordi e le immagini. Le panchine, i muretti. Io che mi avvicino a lei, lei che si avvicina a me, io che mi stacco da lei, lei che si stacca da me. Ero sempre io o era qualcun altro? Capelli lunghi, capelli corti, magro rachitico, con la panza o due muscoletti? Sempre io era quel figuro? Il me stesso ragazzino, consapevole e per questo codardo, romantico e per questo destinato a vivere più degli altri. Sì, era lui, ero io.

In una atmosfera surreale, circondato da una musica a basso volume, camminavo e contavo i passi, avvicinandomi circospetto sperando di non disturbare qualche coppietta appartatasi per scappare al marito, alla moglie o alla vita di ogni giorno. Benchè fossi vestito leggero, non sentivo il freddo. Per la prima volta la testa ed il cuore si abbracciavano, sorridendo mesti, nostalgici.

“E lì, ti ricordi dove ci ha detto quella cosa?”

“E là, dove ci ha mentito quando ci disse che si sarebbe fatta risentire dopo aver passato il debito a gennaio?”

“Sì, ma poi siamo usciti con la sua amica!”

“Oh, e qui abbiamo ricevuto quel messaggio, ti ricordi?”

“Diamine sì, siamo corsi in casa ad accendere Skype!”

(Sì, dico diamine per davvero, non è per rendere il cervello più forbito del cuore)

Cavolo, dai tredici ai diciassette anni me la viaggiavo bene. Stavo male, cazzeggiavo, stavo di nuovo male, ero felice. Una adolescenza passata all’insegna del volare qua e di là, senza una direzione fissa. Sperando di trovare chissà cosa in chissà chi, sapendo che ero un sognatore e che se ero stato deluso in tutti i campi un motivo c’era e che l’amore non si sarebbe di certo salvato. Ma io non lo sapevo, ci credevo e così ballavo.

Quattro foto, sette relazioni. Quattro luoghi, sette anime che con me hanno ballato. Chi un valzer, chi un tango, chi dimenandosi in discoteca. Sono sempre stato fatto di neve, non di ghiaccio. Mi sono finto di essere un iceberg quando mi bastava un po’ di calore e mi scioglievo. Come l’acqua cambiavo stato in modo repentino e c’era anche chi credeva che mentissi, vedendomi così proteiforme. Quando invece dipendeva solo da chi era intorno a me. Dal calore che ricevevo.

Sono tutti rimasti abbastanza simili a loro stessi, quei luoghi. Il freddo di quella scaletta sulle mie chiappe non me lo scorderò mai. L’umidità di quel posto, la variabilità dell’altro, la quantità di persone che passavano sul terzo. Tutti abbastanza uguali al mio ricordo, a parte uno che è diventato un parcheggio. Freddo. Cementato. Con dieci macchine messe lì, in bella fila. Visto come è finita non me ne sono nemmeno meravigliato più di tanto.

Non credo in “anno nuovo, vita nuova”, nel “ci sono tanti pesci nel mare” o nelle altre frasi che ci si dice per autoconvicersi del proprio cambiamento. Siamo in un cammino, tutti. Però c’è chi si ferma, chi torna indietro, chi cazzeggia e aspetta che qualcuno lo prenda di forza e lo porti avanti, salvo poi lamentarsi e tornare anche più indietro di prima. Però per andare avanti ogni tanto è necessario guardarsi dietro e dentro e fare il conto di quello che si è vissuto, del ruolo che le persone hanno avuto nella nostra vita. E del ruolo che hanno tutt’ora. C’è chi ha deciso di mantenere una amicizia con me, chi è scomparsa e non ho idea di dove sia finita e cosa abbia combinato, chi guardo con ammirazione per cosa ha combinato della sua vita, chi è scomparso e va benissimo così e chi ci si saluta un po’ imbarazzati per strada con un mezzo sorriso e chi è scomparso e mi sento in colpissima per non avere idea di dove sia finita.

Tornando in macchina, dopo due parole due ma tanto importanti scambiate guardandosi negli occhi coi piedi freddi, ho riflettuto e ho capito quali erano le foto che mi facevano più male.

Quelle non scattate.

Il fuggire da un qualcosa che sarebbe potuto essere ma non era stato. Per codardia o senso di coerenza con me stesso? Perché avevo paura di ammettere che era da troppo tempo che sbagliavo o perché avevo paura di mettermi in gioco e non avere nulla in mano?

Non saprò mai come e cosa sarebbe potuto succedere. Così mi limito a lasciare andare anche le foto non scattate. E spero così di riconquistare un poco di quel coraggio adolescenziale, di quella speranza, del riuscire a rendermi degno di fiducia ma soprattutto di riuscire a fidarmi.

Così fra qualche anno forse riguarderò quelle foto, rileggerò questo pezzo (più probabile) o ripenserò a questa serata (questo di sicuro) e sono sicuro che saranno un bel ricordo, da condividere con chi sarà vicino a me e mi farà un massaggio mentre scrivo l’ennesimo romanzo con tre copie vendute.

 

Decio

A cura di decio

Ho studiato economia, alla ricerca della strada della mia vita. Nel frattempo scrivo, leggo, ascolto musica e gioco ai videogiochi.

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