N.D.A.: il nome del protagonista è stato cambiato da Andrea a Massimo
Trovi la prima parte qui.
Sembrava perduta in quell’eternità lunare. Continuava a peccare di arroganza, fregandosene di cosa stessero facendo i suoi amici e le sue amiche.
Diana, allora?
Uhm?
Non ascolti mai.
Massimo tendeva l’orecchio, cercando di capire il suo tono di voce. Non era né acuto né greve, quanto bastava per essere interessante e al contempo non troppo particolare.
No, non ascolto, anche perché non mi sembra parliate di nulla che abbia bisogno di una mia opinione. Vado a bere.
Diana!
Così si chiamava Diana. Massimo decise di alzarsi.
Cosa mi prende?
Un fiume di ricordi. Una panchina in un parco. Diciassette anni. Lui che si avvicinò alle sue labbra e suggellò l’inizio di una magia che sarebbe durata un lustro. Massimo vedeva in quella sera milanese le luci del treno che gli stavano arrivando addosso. Poteva decidere di stare fermo e seduto e farsi prendere sotto dalla locomotiva o di buttarsi nel mare freddo della realtà.
Lei è al bancone, ordina un Long Island.
Non ti pare un po’ aggressivo come primo drink?
E tu chi sei?
Veramente sono seduto al tuo stesso tavolo.
Uno sguardo inquisitorio scannerizza Massimo. Lui decide di affrontare i suoi occhi per qualche secondo e ricambiare l’esame. Diana portava un vestito di jeans lungo ed un paio di converse alte nere. I capelli le cadevano sulle spalle. Notò un piccolo difetto nel suo sorriso, sembrava sempre che stesse facendo una lieve smorfia divertita.
Mhm. Tu cosa prendi, Massimo?
Io mi prendo una acqua tonica.
Parlarono e le ore passarono. Gli amici e le amiche di entrambi arrivarono e passarono, non curanti della lotta che si stava combattendo. Massimo contro Diana, Diana contro Diana, Massimo contro Massimo, Diana contro Massimo. Dopo un paio di stoccate, iniziarono a slacciarsi le armature e a guardarsi le rispettive cicatrici.
Dietro a discorsi innocenti uno studio degli anni di vita passati a rincorrere sogni impossibili, una attenta analisi delle speranze infrante, delle vette scalate e dei pianti fatti. Frasi, clichè, che assumevano significati opposti e contrastanti. Nulla di quello che si stavano dicendo aveva un significato in quel momento. Avrebbero potuto stare in silenzio a sorseggiare i propri drink che avrebbero capito allo stesso modo cosa si stavano dicendo a vicenda.
Uscirono dal locale insieme, non per mano. A fianco. Ogni tanto le dita sbadatamente si scontravano fra di loro, ma nessuno di loro due aveva intenzione di rovinare l’incontro delle loro anime con una dolcezza immotivata.
Si sedettero sulla darsena, con i piedi penzolanti. Le amiche e gli amici li avevano salutati.
Né gli amici né le amiche avevano il coraggio di scrivergli direttamente. Le chat di gruppo erano intasate di sfottò e commentini, tant’è che si presero entrambi un momento per mandarli a cagare e spensero i cellulari. La città li cullava con le sue luci. Con i suoi suoni. Il mal di testa di Massimo se ne era andato come era arrivato.
Erano le tre e decisero che era giunta l’ora di andare a casa.
Diana guardò Massimo e gli fece un sorriso. In quel momento sembrò che sul viso di Diana si spezzasse un ghiacciaio. Labbra che non erano abituate a prendere una forma così inusuale. Si poteva sentire il rumore della brina che cadeva.
Lo invita a salire. Arrivano nella sua camera da letto. Si siedono.
Massimo prende un libro.
Ma questi libri li metti per fare figura o li leggi davvero?
Leggimeli tu.
Scorre la sua libreria. Sceglie un libro di Jane Austen.
Il sole sorge presto. La sera prima avevano lasciato la finestra di Diana aperta. La luce entra e se ne rendono conto perché illumina la faccia di Massimo. Una lacrima scende dal suo occhio sinistro. Si alza e si affaccia al balconcino.
“Ma da qui si vede il Duomo!”
Rimane in contemplazione per qualche minuto. Diana non lo disturba. Massimo torna a leggere.
Oramai erano le otto. Diana dormiva da un’oretta. Massimo le accarezza il viso, le rimbocca le coperte e si siede su una sedia. Dormicchia per un’ora. Si sveglia, pieno di energia come non mai. Esplora l’appartamento, trova la cucina e mette su il caffè. Apre il frigo, trova quattro uova. Prende un piatto tondo, le apre, rovescia il contenuto e mescola. Sale e pepe qb. Accende il gas e mette il tutto sul fuoco. Un odore di uova strapazzate si alza dai fornelli e misto assieme a quello del caffè sveglia Diana.
Ma mica sono mie le uova. Oltretutto non le ho mai mangiate.
Fino ad oggi.
Fanno colazione. Ora li lasciamo da soli. Quello che succederà è affar loro. Non per non violare la loro intimità, in quanto quello che è stato scritto è lo scambio più intimo e profondo che vi possa essere fra due esseri umani.
Quanti amori, quanti incontri si consumano tutti i giorni ai Navigli, al Duomo, nella metro, nelle università?
Milano, grande Milano.
Decio