Sull'esperienza - TheCio

Sull’esperienza

Mi sorride dall’altra parte della strada. Allunga la gamba e con passo calmo mi raggiunge. La pelle leggermente abbronzata assorbe la luce del Sole e sembra non volerla più lasciare.
Sale in macchina, mette un CD. Mi indica la strada con la mano mentre con la voce si lascia andare ad altro. Le parole diventano ogni giorno più sentite.

Ci buttiamo sull’erba appena tagliata, apro gli occhi e la vedo.
“Secondo te abbiamo mai smesso di crescere?” mi chiede. Guarda il cielo.
“Non si smette mai di crescere. Impariamo, immagazziniamo sapere fin quando non moriamo” le dico, senza smettere di fissarla.

“Non è vero. In un mondo in cui crescere significa imparare, la natura ci impone regole specifiche per continuare a sopravvivere. Devi trovarti il cibo, devi lavorare. Devi fare, costruire. E quando torni a casa, con quali forze ti viene voglia di imparare?”
Si passa una mano tra i capelli, li smuove leggermente. Unisce le mani e le infila sotto la testa. Continua a guardare verso il soffitto azzurro. Sembra quasi che voglia attraversarlo con lo sguardo, forarlo con le pupille e osservare oltre. Vedere il vuoto che sta al di là del colore.

Le chiedo, “Cosa significa per te imparare, allora?”
“Guardo, provo, sbaglio, capisco. Riprovo” sorride, da sola.
“E poi?” – “E poi niente. Lo assimilo e lo faccio mio. Propriamente, è mio. Dopo un po’ di volte che ripeto la stessa esperienza, diventa abitudine e agisco senza pensarci, come per istinto”.

Non so cosa rispondere. È effettivamente vero che la situazione adulta ci porti a smettere di imparare? E questo, se anche fosse vero, cosa implica?

“Senti, se non vuoi affrontare questo tipo di discorso lo capisco. È che mi sembra assurdo. Mi sta mangiando un po’ dentro. Non so come affrontarlo.” – “Va bene” le sorrido. Ogni volta che inizio un discorso del genere con qualcuno mi sento fuori luogo; ho paura di passare per matto. Quindi cerco di rassicurarla.
“L’abitudine uccide, se non riceviamo nuovi impulsi ci annoiamo. Ci facciamo sommergere dalle ore di tedio come se fossero chilate di sabbia. Sprofondiamo nell’apatia.
E la realtà è che non smettiamo mai di ricevere nuovi stimoli. Semplicemente smettiamo di analizzarli come “nuovi” e li riconduciamo a esperienze passate, convinti che l’abitudine che ci siamo costruiti finora possa bastare. Non prendiamo più niente, è come se ci sentissimo pieni. Ma se cominciamo a vivere facendo esperienza ed imparando, questo…”

“Questo significa morire, giusto?”
Mi rigiro sulla schiena imitando la sua posizione, mani sotto la testa comprese. Improvvisamente mi rendo conto di come l’azzurro sopra di noi non sia semplicemente azzurro. Ogni volta che mi ritrovo a guardare in su mi stupisco ed è come se effettivamente non avessi mai imparato a fondo quali fossero realmente i suoi colori. L’ho osservato tanto, per molti anni. Eppure, quando lo guardo è allo stesso tempo conosciuto e nuovo. Ironicamente, mi rendo conto anche di non sapere con quale definizione lo si possa descrivere.

Sospira, “Giusto”.
Stiamo zitti per un po’. Non so se sia un bene o un male.

A cura di Emanuele Ferraris

Mi piacciono la musica, le droghe leggere ed evitare le mie responsabilità.

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