Avete presente quando vi recate all’università per sostenere un esame e vi sembra di non capirci più niente? State lì, in aula, con il libro aperto e gli appunti mischiati sul banco, ma non riuscite più ad apprendere niente, e allora cominciano le domande esistenziali tipo “Potevo studiare di più? Ma se mi chiede quello cosa gli dico?” e poi il professore vi dice “Martinotti, è un problema per lei passare domani?”
Ecco, quel momento mi ha sempre fatto provare due sentimenti fra loro contrastanti: da un lato la gioia del procrastinatore, di colui che ama rimandare, che un giorno in più fa sempre comodo in fondo. Dall’altro l’ansia dello sbrigativo, che alla fine meglio togliersi il dente che prolungare il dolore. Ma la loro miscela esplosiva solitamente si sintetizza in un solo sintomo: le gambe che cedono. Ed è la stessa cosa che ho provato quando sabato scorso, dopo quasi 24 mesi che non tagliavo i capelli, mi sono sentito dire dal parrucchiere “Non c’è posto, venga domani”.
Una decisione sofferta, insicurezze, ripensamenti, si fa, non si fa, ok, ci vado, cazzo, che paura, e poi: torni domani. Come sarebbe torni domani!?
Sono tornato a casa, mi sono guardato allo specchio. Mi sono detto che ci sarei tornato domani, poi ho pensato che mi mancherà svegliarmi coi capelli in bocca, scioglierli nei giorni di vento, legarli nei modi più disparati, portarseli indietro con un colpo di mano. Mi sono sentito pervaso da una forte malinconia, come quella che si prova quando si abbandona un amore estivo: un sentimento diviso fra la speranza che la promessa di rivedersi sarà mantenuta, e fra la consapevolezza che non sarà semplice.
Solo che quell’amore mi è costato 22 mesi di fatica, di attesa, e solo infine mi ha regalato una grande gioia. Ma è il cambiamento, talvolta sconsiderato e poco ragionato, che ci rende vivi, e che premia il nostro soffrire con qualcosa di davvero appagante: la novità. E allora, talvolta, basta prendere fiato e abbandonare una parte di sé, per guadagnarne un’altra, che magari, sarà in grado di sorprenderci in maniera inaspettata.
Una persona mi ha chiesto se io queste cose le penso veramente (sottinteso: Lore, sei pazzo?). Io le ho risposto con uno sni. Perché per quanto a me le cose piaccia esagerarle, questa scelta è stata davvero qualcosa di sofferto: un progetto durato due anni che ha visto diverse fasi, da quella iniziale dei capelli lunghi 3 millimetri (era il 14 febbraio del 2014) fino a quella in cui legarli era ancora un miraggio e alcuni mi dicevano “molla, Lore, starai malissimo col codino, sei ancora in tempo”; la fase più difficile di tutte, ma che alla fine ho superato grazie ad una forte prova di coraggio e determinazione.
Ed eccomi lì, domenica mattina, ore 11, seduto sulla sedia con quella cosa che ti legano al collo ma che non si capisce perché non serve mai a niente, i capelli bagnati sulla faccia, una mano tremolante che regge il telefono con le foto di Paolo Nutini:
– Li voglio così, come lui.
– Non puoi, i tuoi capelli sono spessi e crespi, lui invece è un fico di dio.
– Allora non sfoltirmeli troppo che poi si gonfiano.
– Chi te l’ha detto?
– Una mia amica.
– Si sbaglia.
– Voglio andare a casa.
– Troppo tardi MUAHAHAHAH
(il dialogo fra me e la parrucchiera potrebbe aver subito qualche modifica a scopo di migliorare la finzione lettereraria).
Ora è troppo tardi: la mano della parrucchiera pazza che stringe la forbice comincia a muoversi e una lacrima quasi mi scappa mentre vedo quei miei lunghissimi capelli cadere a terra e posarsi, inermi, sulle piastrelle lucide. E in quel momento capisco che si sta aprendo una nuova fase della mia vita, fatta di freddo al collo, di ciuffi sugli occhi, di parrucchieri ogni 2 mesi.
Dopo tanto tempo, si ritorna alla normalità. E chissà che questo addio, non sia poi un arrivederci.