2012: Eleonora
“Amore?”
“Dimmi.”
“Dai, ascoltami!”
Lo guardo. Ha la testa da un’altra parte, come suo solito. Sta lì, a pacioccare con il suo cellulare mentre io sono qui che gli ripeto statistica. Sono al terzo anno di economia e mi mancano troppi esami. Lui mi ha promesso di darmi una mano a passare sto cavolo di esame. Come suo solito sta pensando a totalmente altro.
“Sì, sì.”
Quel suo tono accondiscendente. Una volta lo amavo, quel tono. Il suo essere sceso da un piedistallo per me. Ancora non ho capito ora perchè non ci è rimasto, su quel dannato piedistallo.
“Amore, è facile. Allora, media, mediana, scarto quadratico e alfa. Cosa c’è di così difficile?”
Non riesco più a sopportarlo. Ci siamo incontrati ad un campo di volontariato. Lui aveva un’aria totalmente fuoriluogo. Avendo due anni in più, sia all’anagrafe che in esperienza, mi ci sono avvicinata per spiegargli le basi di quello che doveva fare. Così dannatamente carino mentre falliva in ogni singola cosa manuale.
Parlava poco.
Una sera, dopo qualche birra, iniziamo a conoscerci. Mi racconta chi è, che cosa fa. Lo trovo interessante. Quella luce flebile negli occhi. Non capivo se fosse il riflesso del fuoco o se davvero quel ragazzo avesse qualcosa di speciale. Erano passati tre anni. Ora che pure lui aveva iniziato l’università la situazione era diventata insopportabile.
Lui era andato a Torino. Io ero rimasta a casa, a Monza. Lui al politecnico.
“Amore, ma non capisci?”
Capivo. Ma non lo volevo lontano da me. Ho sempre avuto paura di perderlo. Fin da quando mi ha detto “Devo dirtelo, sto smettendo di sentire altre” sentivo che era lì con me solo per poco tempo. Quelle altre.
Migliori di me.
Capelli più belli. Corpi più sodi.
Quando gli facevo presente che lo guardavano tutte, lui sgranava gli occhi e incredulo mi baciava.
No. Non sono più felice con lui. Ora che ci vediamo poco ho sempre paura di perderlo. Almeno, così mi piace dire a me stessa. Sarà che non sento più il bisogno di averlo con me la notte, sarà che le attenzioni che ricevo mi lusingano. E lui, di attenzioni, me ne dona davvero poche.
Università qui, università là. Dice che lo fa per noi. Noi chi, se con me non ci sta mai? E invece Marco, con me ci vuole stare. Marco fa il barista, l’ho conosciuto in piscina. Bello, in forma, simpatico e rilassato. Tutto quello che il mio lui non è.
Mi giro e mi guarda in lacrime. Mentre gli stavo urlando addosso le mie insicurezze, mi era arrivato un messaggio. Marco mi guardava dal mio schermo, con i muscoli ben in mostra. Appena uscito dalla doccia.
2016: Mary
Fa caldo. Le Officine sono piene. Suona qualche duo hipster che tanto piace al mio ragazzo. Ancora devo capire perchè usciamo assieme, saranno ormai sei mesi che lo frequento. Ragazzo? Fidanzato? Lui ogni volta che provo a parlargliene minimizza.
“Sì, dai, usciamo, ci divertiamo. Fatti meno pare ciccia.”
Mi bacia la guancia.
Io non capisco, non lo capisco proprio.
Scazzata, mi dirigo al bar. Trovo un omaccione con le spalle larghe fisso a guardare il muro. In mano ha un bicchiere di vino rosso. Sta ordinando i bicchieri vuoti, formando figure. Gli tocco le spalle, si gira.
“Anche a te fa cagare questa roba?”
“Uh.”
Mi coglie impreparata. È carino, ma non sa di esserlo. Biascica un po’ le parole. Sarà l’alcool? Sarà che parla proprio così?
“Oh mamma, che figura. Magari a te questi piacciono pure, scusami. Mi ha portato qui una mia amica, non ho saputo dirle di no. Come faccio da fin troppo tempo.”
Mi fa ridere. Iniziamo a parlare. Ha delle ciglia proprio lunghe. Studia al politecnico. È all’ultimo anno. Mi parla della sua passione per la psicologia, così iniziamo a disquisire di Jung e Freud. Mentre sono lì che dialogo amabilmente, mi prende e mi bacia.
“Scusa, ecco, solo che io sono qui brillo, tu sei lì, bella.”
Mi fa ridere.
“Tranquillo. Sei dolce. Tanto che non ricevevo un complimento così.”
Sento arrivare Andrea. Mi giro e lui ride. Rido anche io.
“Così, è finita.”
“Già.”
Ci abbracciamo. Ricomincio a parlare con l’ingegnere.
“E lui?”
“Niente, non preoccupartene. Piuttosto, vogliamo parlare della tua amica?”
“Uhm. È una lunga storia.”
“Ti si sono bagnati gli occhi, sai?”
Annuisce. Piange un po’. Lo abbraccio e lo bacio. Ricambia.
“Abbiamo tutta la notte per parlarne. Vieni.”
2026: Chiara
Come ogni martedì sera mi aspetterà fuori dalla palestra. La sua Tesla brillerà nella notte. Abbasserà il finestrino e mi chiederà se ho intenzione di salire o di stare lì a prendere la pioggia.
Ci siamo conosciuti una sera in discoteca.
Ero con le mie amiche, volevamo divertirci. Questo primo anno di università era passato via come un lampo, fra feste e esami. Poi una sera è arrivato lui.
Evidentemente più in là con gli anni della maggior parte dei presenti, arriva e si saluta con il padrone del locale come se fossero amici da una vita. Gli fa l’occhiolino e l’altro ride.
Mi ha poi raccontato che è il suo migliore amico. Dopo aver venduto la sua startup per una quantità di denaro che è legalmente obbligato a tenere segreta, si era dedicato a togliersi qualche sfizio.
Gli ero capitata addosso. Nel vero e proprio senso della parola. Stava andando in bagno e guardandolo ho riso.
“Cosa c’è di tanto divertente?”
Alza un sopraccigglio.
MI faccio coraggio e gli spiego che l’ospizio è in fondo alla strada.
Lui ride e mi offre da bere.
Le mie amiche dicono di lasciarlo perdere. Che rischio solo Dio sa che malattie. Figurati, uno che va a beccare le diciannovenni in discoteca a Milano, che persona di merda vuoi che sia?
Quando gliene parlo ride sempre.
“Sai, Chiara. Una volta ti avrei anche dato ragione. Nella vita di cose ne ho viste. Tu mi hai colpito per il tuo coraggio. Mica è scontato sai, dire quello che si pensa, così, senza filtri?”
Dopo quella che gli economisti chiamano la “bolla dei Social Network”, le persone erano tornate a vivere la vita in silenzio. Intimità, timidezza. Non sentivano più il bisogno di urlare al mondo dove e con chi erano in un determinato momento. Lui mi ha confessato di esserci rimasto malissimo.
Non se lo aspettava, un ritorno alla gioventù così forte, in quei tempi dove l’unica cosa che potevi fare con un cellulare era mandare un messaggino.
Mi guarderà, nuda.
Riderà.
“Quanto andremo avanti così?”
“Io non ho intenzione di lasciarti, sai?”
“Certo, dite sempre così. Tu, Mary, Eleonora.”
“Solo perchè Marta ti ha sempre spedito a quel paese.”
Lo colpirò nel vivo. Dopo tutti questi anni Marta ed il suo rifiuto ancora gli fanno questo effetto. Riderò.
Mi accarezzerà la guancia.
Accenderà il suo portatile.
Si metterà a scrivere.
Finalmente.