Le capriole di fumo salgono verso l’azzurro del cielo e durano il tempo che devono durare. Guardandole volteggiare ci si può inventare una storia, far rivivere un ricordo d’infanzia, immaginarsi in viaggio verso un mondo di fantasticherie o più semplicemente osservarne la rara bellezza.
Sul tram numero tredici c’è un ragazzo che ha appena timbrato il biglietto e se ne sta sul fondo con le mani appoggiate alla finestra. Porta delle scarpe da ginnastica nuove di zecca ma con le punte un po’ annerite (che si è preoccupato di sporcare non appena acquistate) un paio di jeans a sigaretta e una maglietta bianca con le maniche arrotolate. Con la mano destra tiene una busta della spesa gialla, mentre sulla spalla sinistra ha uno zaino pieno zeppo di libri di biologia. Dal suo volto sembrerebbe avere vent’anni appena, qualche peletto biondo gli spunta sul mento e sulle guance e i suoi capelli lunghi gli coprono la fronte, arrivando quasi a toccargli le spalle.
Alla fermata Rossini sale di corsa una ragazza che, nella fretta, sembra aver dimenticato il biglietto. Così, per evitare che qualche controllore possa coglierla in flagrante, si dirige cautamente verso il fondo del tram e dopo essersi guardata un po’ in torno, si siede in un posto vicino alla porta centrale. Dopo aver preso fiato pensa che sarebbe meglio stare in piedi e magari anche in fondo, così da avere una visuale completa, sempre in caso che un qualche controllore decida di montare su e fare il suo lavoro. Allora si alza e va ad attaccarsi alla sbarra in fondo al tram. I suoi capelli biondo cenere sono corti e ben tagliati e gli occhiali da sole non svelano il colore dei suoi occhi. Porta una camicetta bianca e dei jeans chiari che finiscono dentro un paio di stivaletti di pelle, infine una tracolla grigia scura che sembra proprio conferirle l’aria della studentessa universitaria del primo anno. Sembra una di quelle ragazze che riescono a vedere la bellezza nelle colonne dei porticati, nelle nuvole che si inseguono, nel guidare la macchina nei giorni d’estate.
I due ora sono uno di fronte all’altra. Lui l’ha notata subito, fin da quando lei si è precipitata sul tram ansimando a causa di una corsa forsennata per non perdere quello che probabilmente è il tram che la riporterà a casa. Mentre si stava sedendo lui le aveva già analizzato gambe culo e tette, ma appena si era voltata il suo cervello aveva già partorito l’idea che quella fosse una delle più belle ragazze che avesse mai visto in tutta la sua vita.
Lei ora sta guardando il cellulare, così lui può esaminare le sue labbra che si mordono nervosamente mentre le sue dita si muovono frenetiche sulla piccola tastiera. Poi lei alza lo sguardo, che accidentalmente incrocia quello del ragazzo, che allora riprende a guardare fuori, leggermente imbarazzato, pensando a quanto vorrebbe chiederle di uscire, o anche solo chiederle il suo nome, o perché no, dirle semplicemente ciao.
Lei non sembra una ragazza sprovveduta, anzi, sembra proprio essere una che ad essere guardata ci ha fatto l’abitudine. Ma per un qualche motivo (che a dire il vero, ora le sfugge) anche lei non riesce a staccare lo sguardo da quel ragazzo, che le sembra decisamente carino e affascinante. Gli occhiali da sole la aiutano ad agire in incognito, ma colta da mille dubbi pensa che adesso potrebbe essere una buona idea tirare fuori nuovamente il cellulare, giusto per non stare lì impalata a fare la figura della scema, e perché no, per darsi una controllatina usando lo schermo spento come specchio.
Lui con la coda dell’occhio vede lei con in mano in cellulare, poi guarda fuori e realizza che tra una fermata il tram sarà a Porta Susa, e allora dovrà scendere e tanti saluti. Nella sua testa si inseguono le idee più disparate, quella di chiederle qualcosa, di far cadere il suo zaino a terra, di non scendere fino a quando non scende lei, di seguirla, di lasciar perdere. Nella testa di lei, c’è quella remota speranza che lui le chieda dove scende, che la inviti a prendere un caffè, ma anche la consapevolezza che tanto non lo fa più nessuno, perché dovrebbe farlo proprio lui.
Il tram arriva ora a porta Susa, così il ragazzo si sistema lentamente lo zaino sulla spalla, prendendo il tempo necessario per capire se è anche la fermata di quella ragazza. Lei continua a guardare il cellulare, o meglio, finge di farlo mentre in realtà i suoi occhi, coperti dalle lenti scure, guardano il ragazzo che a piccoli passi si muove verso la porta posteriore. Il suo mento ora è troppo alto rispetto allo schermo del telefono e il ragazzo è fermo da troppo tempo, così entrambi ricevono all’unisono dal loro cervello l’impulso di sorridersi. Lo fanno, ed è un sorriso che pare eterno, che fa venire loro i brividi alla schiena e fa pulsare forte il cuore. Ma è anche un brevissimo istante di quotidianità, che come la speranza che qualcosa accada, si esaurisce non appena il ragazzo scende dal tram numero tredici e vede le due porte arancioni chiudersi rumorosamente e portargli via quello che ora è solo il ricordo di un’occasione persa.