Le capriole di fumo salgono verso l’azzurro del cielo e durano il tempo che devono durare. Guardandole volteggiare ci si può inventare una storia, far rivivere un ricordo d’infanzia, immaginarsi in viaggio verso un mondo di fantasticherie o semplicemente osservarne la rara bellezza.
Le parole germogliano traboccanti come le margherite ai lati delle strade e con un guizzo fulmineo sfuggono via, veloci come il vento si allineano l’un l’altra con una tale fluidità che non si capisce dove ne inizia una e dove finisce la successiva.
Riga dopo riga seguono il sentiero bianco al ritmo che la mano ha dettato loro, poi scattano agili e con i loro ghirigori neri e molli lasciano un solco indelebile inciso su quell’oceano lattescente, e tutto è come in una danza d’inchiostro e di liberazione; quando possono fuggono la logica, ma subito ne recuperano un poco dove serve. Si fermano a rifiatare, in attesa che la mano, loro esitante padrona, riprenda il suo flusso zampillante e potente come un fiume in piena.
Alcune parole vengono cancellate con una riga netta o uno scarabocchio, colpevoli di essere troppo dirette o eccessivamente sdolcinate. Ma qualcuna di queste viene salvata, forse perché rievoca una canzone particolare o ricorda un’espressione che si è rubata un tempo e messa in tasca ad aspettare; altre ancora vengono macchiate da grosse gocce che piovono sul foglio e diluiscono l’inchiostro, spargendone i suoi liquidi lontano e dando vita a piccoli pozzi di malinconia.
Le parole allora si arrestano a guardare quei cerchi infradiciati, che nel frattempo se ne stanno lì in attesa di asciugare, consapevoli di aver insudiciato il foglio, di aver rotto l’equilibrio di quella danza perfetta con il liquido salato dei più brutti ricordi che si possano immaginare.
Foto di Nicolò Ramella