Mi piace immaginare che un giorno, magari neanche troppo lontano, leggendo questi scritti uno di fila all’altro riuscirò ad avere una immagine nitida e messa a fuoco di me e del mio percorso di cambiamento, di come la mia vita si è evoluta pagina dopo pagina; magari riuscirò anche a rintracciare tutte quelle parti di me che saranno oramai andate perdute, quei tratti della mia personalità che ogni giorno sputo fuori sotto forma di eruzioni di parole, alle volte sconclusionate, con il solo intento di riuscire a catalogare e descrivere tutto ciò che mi circonda, e al tempo stesso con una neanche troppo velata funzione esorcizzante nei confronti di me stesso.
Oggi ho comprato una camicia azzurra. La cosa può sembrare assolutamente priva di significato, ma forse adesso che mi conoscete un pochino avrete capito che è insito nella mia natura attribuire significati alle cose che apparentemente non ce l’hanno. Il fatto è che anche a me, proprio come ai più, piace immaginare la mia vita come una serie di tappe. E diciamo che da quasi un anno me ne stavo impantanato in una tappa che proprio in questi giorni cominciava a starmi stretta. Comunque, lasciamo un attimo la camicia da parte.
Partiamo da un piccolo presupposto teorico: il blog per me rappresenta anche una sorta di luogo di confessione pubblica, un diario per egocentrici, ma anche una sorta di luogo confortevole per tutti quelli che trovano assai meno complicato ammettere un limite al pubblico piuttosto che a se stessi. Ed è proprio questo che da giorni mi stava davvero stancando di me. Il fatto di non avere più una chiara visione di che cosa sono, di dove sto andando.
Sono stato male nell’ultimo anno. Non è facile dirlo così schiettamente, ed è forse la prima volta che lo scrivo senza mezzi termini, senza divagare con le parole, senza edificare attorno al mio stato d’animo una serie di costruzioni fantastiche. Diciamolo pure da blog: sono stato unammerda.
I motivi sono tanti, ma se ci penso su, tutti potrebbero ricadere nel grande calderone della “mancanza di fiducia in se stessi”.
Sono di mio una persona sensibile e insicura, ma ho sempre pensato che non ci sia niente di male ad esserlo. La verità è nel dubbio (o qualcosa del genere), diceva Leopardi. Come diavolo può una persona essere sicura di se stessa? Come si può non dubitare della propria persona, dell’intero genere umano, dell’universo. Il punto è che questa partita che è la vita in qualche modo bisogna pur giocarla. Ma ci sono periodi in cui sembra davvero che azzeccare una qualsiasi mossa sia diventato pressoché impossibile. Ecco la mia fase, la fase in cui mi trovo; la fase in cui mi sono, letteralmente, arreso. Perché la linea che separa la resistenza dall’abbandono è davvero sottile, e basta un passo falso che ci si ritrova a dire basta, non ne vale la pena.
Non sono mai stato così diretto, dicevo, quindi rischio davvero di blaterare. Riassunto in una frase, quello che io ero in quest’ultimo periodo era questo: non ce la faccio più.
Poi è successo qualcosa, che credo di aver maturato a pieno solo questa notte. Ho preso sonno attorno alle cinque e venti del mattino, il mio cervello macinava e macinava e macinava, e dopo poco tempo ho sentito come un fuoco salirmi dal petto alla gola, la voglia di riscattarmi, la voglia di dire basta, voglio tornare a vivere e voglio tornare a dettare io le condizioni.
Ma tutto questo, che cosa c’entra con la camicia azzurra? Forse niente. Forse tutto.
Beh in poche parole oggi sono andato in un negozio tipo vintage di Torino, quelli che sono pieni di robe da hipster e che costano pochissimo. Stavo per comprare la mia solita camicia da sballomane taglia XL col colletto alla coreana, le righine verticali e i bottoni di legno. Quelle camicie che quando torno a casa il mio coinquilino mi guarda come se fossi un pazzo. Poi ho visto una camicia azzurra spuntare in mezzo agli altri abiti. L’ho presa, ho guardato il prezzo, 19.90. Io odio le camicie azzurre. Il prezzo mi è sembrato ragionevole. Ma le odio davvero. Ho litigato con mia madre infinite volte, per le camicie azzurre. Ma l’ho provata, mi sono guardato e ho pensato di stare abbastanza bene, anche se mi sentivo strano, con addosso qualcosa che non mi rappresentava. E alla fine mi sono detto che chissenefrega, che per andare oltre bisogna arrischiarsi in territori che non conosciamo, starci per tutto il tempo sufficiente ad ambientarci, e solo dopo, solo alla fine, giudicare se la scelta è stata sensata, o se conviene tornare sui propri passi. Quello di cui ho voglia io, quello che davvero mi serve, è entrare dopo un anno di autostima sotto ai piedi in una nuova fase, raggiungere una nuova tappa, una tappa dove guardo il mondo a testa alta, di nuovo.
E sì, una nuova fase dove ogni tanto indosso anche una camicia azzurra (così la mamma è contenta, lei che mi dice sempre che l’azzurro fa risaltare i miei occhi).