Ci sono moltissimi metodi per affrontare i propri fantasmi. Uno di quelli che preferisco, ovviamente, è scriverne. Svuota la mente e proprio come ordiniamo le parole sul foglio bianco, ordina i concetti nella nostra testa. Parlarne con chi abbiamo vicino è altrettanto utile. E per quanto pericoloso sia, anche il solo rifletterci su in silenzio prima di dormire può aiutare.
Sono sicuro che ognuno di noi costruisca col tempo una specie di meccanismo mentale, simile ad un immaginario apparato digestivo. Questo prende gli eventi e i contesti, li mastica e assorbe tutto ciò che ci potrebbe tornare utile, informazioni. Poi scarta tutto il rimanente, che finisce per essere dimenticato.
Alle volte però certe cose non riusciamo a mandarle giù. Resistono alla morsa dei denti, bloccano la nostra immaginaria digestione, restano lì e ci appesantiscono.
Spesso sono persone.
Ecco quindi: scrivere e parlare dei propri fantasmi per potersene liberare.
Qualche anno fa una persona mi ha regalato “La Nausea“, di Sartre. Aveva accompagnato il gesto dicendomi che a suo parere sembrava scritto da me (il protagonista, Roquentin, è anche narratore e parla di sé in prima persona; penso si stesse riferendo quindi ad una somiglianza con lui, più che col filosofo).
Ho letto il romanzo cercando ferocemente pezzi di me nascosti tra le lettere e le parole. Forse ci avevo anche trovato una certa somiglianza, non è questo il punto. Sartre da quel momento in poi ha cominciato a far parte della mia vita e mi risulta quasi impossibile pensare a lui senza ricordarmi di quella persona.
La cosa strana è che lo studio del filosofo francese mi ha accompagnato per un bel po’ nel mio percorso universitario. La cosa curiosa, invece, è che mi ha aiutato ad affrontare il fantasma della persona che mi ha aveva regalato il libro stesso. Come un cane che si morde la coda. Quella persona mi aveva quindi donato la chiave per liberarmi di lei. Un perfetto controsenso.
I fantasmi una volta affrontati e sconfitti non se ne vanno realmente. Come tutto il resto di quel che la nostra mente mangia e digerisce, vengono assorbiti e permeano in ogni cosa dentro di noi. Influenzeranno le nostre parole, i nostri movimenti e le nostre percezioni. Modificheranno il modo in cui pensiamo. E per quanto a parole tutto ciò possa sembrare violento, avviene (o almeno, dovrebbe avvenire) con un senso di profonda e onesta tranquillità. Se ci sforziamo e spingiamo questi fantasmi giù nel nostro stomaco, ne risultiamo scossi, stanchi e più vuoti di prima: abbiamo perso una buona occasione per accrescerci e far così fruttare il nostro dolore.
Non penso ci sia una soluzione universale per ogni fantasma che cerchiamo di “risolvere”. Alle volte dobbiamo richiamare alla memoria ciò che abbiamo imparato per riuscire a sintetizzare una chiave di lettura. Altre volte questa chiave ci viene fornita da persone vicine.
Altre ancora basta semplicemente fermarsi, svuotare la mente ed osservare lo spirito in faccia. Innamorarsi dei suoi lineamenti, affezionarsi alla sua voce e, infine, divorarlo e farlo nostro.