“Da dentro” è una rubrica che uscirà totalmente a caso.
“Da dentro” significa biellesi che ascoltano musica biellese.
“Da dentro” non è una serie di recensioni musicali, non di dischi nè di band.
“Da dentro” è un’indagine sul perchè certa musica sia in grado di smuoverci l’animo.
“Da dentro” vuole ascoltare musica, da dentro la musica.
I Sabbia sono una band tutta biellese che produce ottimo rock psichedelico, di quello da luci soffuse, sporcato dalle influenze dei Calibro35, dei Queens of The Stone Age e più in generale dallo Stoner. Si definiscono una sintesi tra lo space rock e le colonne sonore dei porno anni 70. A mio parere definizione perfetta.
I Sabbia sono Gabo (Chitarra), Andrea (Synths e Rhodes), Ale (Basso), Marco (Batteria) e Jack (Sax). Trovate la loro musica e il loro merch qui: https://isabbia.bandcamp.com/.
Il portone in legno è uno dei tanti che bucano le mura interne del Ricetto.
L’interno è però molto diverso dalle altre cantine candelesi, solitamente vinerie o laboratori artigianali. Entrando nel semibuio, poco prima che le luci si scaldino e illuminino l’ambiente, l’occhio mi cade sui sintetizzatori analogici e le rhodes che ricoprono parte della parete a destra. Sembra di entrare in una dimensione parallela, uno spazio interno e intestino alla società biellese eppure sospeso sopra di essa.
Gabo si allunga verso “l’astronave”, come chiama lui la sua pedaliera. Mentre gli altri si sistemano dietro ai rispettivi strumenti decido di buttarmi su uno dei divani e di perdermi per qualche secondo ad osservare quello che sta accadendo; Andrea prova al volo il suono del Tiger con un motivetto. Marco lancia un paio di colpi di cassa, come a voler controllare che effettivamente ci sia.
Infine irrompono e mi svegliano dal freddo di Dicembre. Decidono di suonare tutto il nuovo Ep, uscito il mese prima. Quelle quattro canzoni sembrano appartenere alla saletta tanto quanto a loro, come se le luci soffuse fossero parte integrante, uno strumento inusuale ma essenziale. In quelle note si trova un filtro di un colore sempre diverso e, pezzo dopo pezzo, la stanza cambia e muta.
I Sabbia non hanno solo la capacità di suonare spaventosamente bene, c’è qualcosa in più, qualcosa che interagisce con l’ambiente circostante. Lo sento, lo percepisco, ma non lo comprendo. È giusto ammettere i propri limiti. Decido quindi di parlarne direttamente con loro.
Andrea mi chiede se ho domande, mi dice “siamo una famiglia”. Io gli credo e chiedo loro di spiegarmi il passato, di questa famiglia.
Gabo: <Il virus è stato iniettato a inizio 2013. Io, Ale e Pacio -come Gabo ex Mayday, band che tra l’altro ha accompagnato la mia adolescenza- abbiamo iniziato a buttare giù qualche pezzo. Andre si è unito in maniera organica e naturale. Poi Pacio ha lasciato, abbiamo provato con un po’ di batteristi, tra cui Filippo dei Fine Before You Came. Ma quando è arrivato Marco, l’abbiamo capito tutti: c’era sintonia e c’era voglia di fare. Abbiamo registrato in maniera casalinga, suonato in zona. Jack si è inserito poco prima della data alla Casa di Paglia. Da lì la formazione è rimasta stabile>.
Il primo singolo, “Torno a piedi” è uscito a inizio anno. La strofa martellante e aggressiva si apre in un ritornello psichedelico. La prima aggiunge un peso sul petto, il secondo lo solleva all’improvviso. Mi rendo conto che i loro pezzi hanno effettivamente la capacità di trasmettere in maniera molto diretta sensazioni poco materiali, come quando prendi un dosso troppo veloce e senti il vuoto nello stomaco o come quando corri veloce e noti che i lati del tuo campo visivo si stanno offuscando.
“Come siete arrivati a questo risultato?”
Gabo: <I pezzi dell’EP sono nati da delle Jam. Tra tutti ne abbiamo poi scelti quattro.>
Andrea: <E da lì abbiamo cominciato una eterna serie di registrazioni in saletta. C’è stata tutta una questione sulle batterie…>
Marco: <Abbiamo deciso di registrarlo a tracce separate. Due giorni sulla batteria e sei mesi su tutto il resto. A quel punto siamo andati a La Sauna, vicino Varese, che ha fatto un lavoro fantastico>.
Quando parlano dei loro pezzi riesco a sentire l’affettività, come se ci avessero messo una piccola parte di sé dentro quei 24 minuti. Chiedo se singolarmente siano legati a qualche pezzo in particolare.
Gabo si butta senza dubbi: <Montagna. Da suonare è… cioè, mi piacciono tutti i pezzi. Ma Montagna…>
Andrea: <Io vado a momenti. Cioè, proprio piccoli momenti nelle canzoni. Certi stacchi o il finale di Lasonil…>
Marco: <Lasonil per quanto mi riguarda è l’EP stesso, l’essenza>.
Ale: <Lasonil anche per me. Strano che nessuno dica “Indagine”. Penso sia la più matura, la meglio riuscita dal punto di vista di lavoro di gruppo. Molto naturale, insomma>.
Saluto i cinque psiconauti ed abbandono il tepore della saletta, che ancora vibra. Ed io con lei.
NB. Questo capitolo di “Da dentro” descrive fatti avvenuti a Dicembre 2016. Sappiamo che la pubblicazione è avvenuta con un grosso ritardo. Ci scusiamo.