Debutto sul blog con un bell’argomento spinoso: l’EXPO 2015. Chi mi conosce è al corrente del mio spiccato odio per Milano, e quindi mi accusa giustamente di avere un outlook pessimistico su tutto ciò che riguarda la BEN NOTA capitale meneghina. Cercherò comunque di essere il più affidabile possibile.
La storia dell’EXPO è piuttosto travagliata, ma penso si possa dividere in due grandi momenti. Precedentemente all’apertura dell’esposizione a Maggio 2015, l’attenzione dei media nazionali era sugli scandali legati agli appalti e sui ritardi dei lavori nei cantieri di Milano (alcuni articoli a riguardo disponibili qui e qui). L’opinione pubblica, come conseguenza, era tendenzialmente sfavorevole all’EXPO, e nascevano pagine ironiche su Facebook come “Soffiare sul cemento dei cantieri dell’EXPO per finire in tempo” e “Preparare la colla vinilica con Giovanni Muciaccia e andare a finire in tempo i lavori dell’EXPO”. La politica era allineata all’opinione pubblica, condannando la corruzione degli appalti che peraltro era già stata annunciata ma precedentemente ignorata dalla politica stessa.
Tutto è cambiato, però, dopo l’inaugurazione dell’EXPO il 1 Maggio 2015. In quella data un gruppo di “No EXPO” manifesta violentemente a Milano, provocando danni per svariati milioni di euro alla città. Senza entrare nel merito della questione, la politica condanna (giustamente) l’accaduto in maniera unanime.
Da lì in poi è un tripudio di esaltazione dell’EXPO: i giornali non fanno altro che parlare di quanto l’evento sia un’occasione di rilancio economico per il paese e proclamano con fierezza i risultati della manifestazione.
Incredibilmente, nel giro di qualche mese, una manifestazione data per spacciata viene considerata un successo. Tanto che si vocifera di volerla tenere aperta – almeno per quanto concerne il Padiglione Italia – fino a dicembre (opinione che, peraltro, io condivido).
La domanda quindi é: l’EXPO ha effettivamente avuto un senso, alla faccia dei gufi? La risposta, in breve è: no. E per capirlo basta un ragionamento di due righe.
L’EXPO è costato 14 miliardi di euro allo Stato Italiano, e il ricavato dei biglietti sarà, molto ottimisticamente, di poco meno di 1 miliardo di euro (considerando 30 milioni di biglietti a 30€ di prezzo medio – oltre ogni più rosea previsione*).
Già conosco, però, la risposta del milanese medio a questa osservazione: NON CONSIDERI LE RICADUTE ECONOMICHE. A quanto ammontano? La risposta a questa domanda è molto difficile, perché tutto dipende da cosa si intende con “ricadute”.
Il rapporto ufficiale di EXPO 2015 valuta le ricadute nell’ordine di circa 69 miliardi di euro. Peccato che per loro “ricadute” siano qualsiasi tipo di investimento o produzione avvenuta in relazione all’evento. Parafrasando, qualsiasi euro che sia stato speso (notare bene: speso) o guadagnato per EXPO è una ricaduta. Ciò include anche i 14 miliardi spesi dal governo e qualsiasi COSTO sostenuto da privati (aziende o cittadini) in relazione all’EXPO. Questo modo di contabilizzare mischia costi e ricavi in un unico calderone. Sarebbe come dire che il recente scandalo Volkswagen ha la potenzialità di avere ricadute economiche per 18 miliardi di dollari – volutamente lasciando a parte il dettaglio che questi soldi sarebbero costi per la casa automobilistica e un potenziale ricavo per il governo USA. Se foste un’azionista Volkwsagen, non sareste d’accordo sul modo di contabilizzare. E noi tutti siamo “azionisti” del Governo Italiano.
Anche analizzando studi più neutrali, una cifra affidabile è difficile da ottenere. C’è chi parla di 9.5 miliardi di ricadute (il che significherebbe “solo” 3.5 miliardi di rosso sull’investimento), c’è chi invece arriva a parlare di addirittura 25 miliardi spalmati su 8 anni. Peccato che, anche in quest’ultimo caso, si mischino volutamente i ricavi e i costi, considerando “ricadute” anche gli investimenti effettuati dallo Stato e i costi sostenuti da qualunque attore nel contesto di EXPO 2015.
Aldilà poi dell’attendibilità delle fonti e della definizione di ricadute, rimane anche un problema di come allocare le ricadute stesse. Al contrario di un’impresa, dove semplicemente dovremmo calcolare quanti ricavi proverrebbero da questo investimento, le ricadute economiche (in termini di occupazione? Maggior reddito per i cittadini? Entrate fiscali?) sono di difficile allocazione per un paese.
Se in Lombardia la disoccupazione diminuirà del 3% da Maggio 2015 a Maggio 2020, quanti di questi nuovi occupati sarebbero imputabili all’EXPO, e quanti al calo del prezzo del petrolio, all’aumento della fiducia dei consumatori o all’aumento della produttività delle imprese italiane? La risposta sarebbe facilmente politicizzata.
Ma ammettiamo anche che il ritorno sull’EXPO sia positivo.
Il bello viene adesso. Quello che abbiamo cercato a fatica di calcolare, in economia si chiama il Valore Aggiunto Netto (VAN) di un investimento.
In termini molto semplici indica, investito 100, quanti soldi si pensano di ottenere dall’investimento nel corso della sua intera durata (se il ritorno è 110, il VAN è 10).
Anche se il ritorno è maggiore di 100, tuttavia, ciò non significa che l’investimento vada scelto. Si devono comprare i possibili investimenti, e scegliere quello col VAN più alto.
Dati i 14 miliardi di “budget”, non ci sarebbe stato un investimento con un ritorno maggiore rispetto ad EXPO? Difficile rispondere di no. Alcune considerazioni a riguardo:
- Con EXPO 2015 piove sul bagnato. La manifestazione investe sull’area geografica più ricca d’Italia (Milano, dove la maggioranza delle ricadute avverranno), e sui settori più noti ed improntati all’export del paese (turismo e cibo).
EXPO è una manifestazione utile a far conoscere l’immagine di un paese all’estero. In termini pubblicitari, serve a fare della Brand Awareness al paese ed ai suoi prodotti. Sempre parlando in termini pubblicitari, il “Brand Italia” era già ben noto all’estero, ed è difficile immaginare che tedeschi, cinesi e americani non sapessero del food made in italy prima di quest’anno.
L’EXPO 2015, quindi, investe nel settore e nella regione dell’economia Italiana a più basso potenziale di crescita – è inefficiente dalla sua concezione.
Avrebbe avuto più senso farlo in Abruzzo, o in qualche regione del meridione, prendendolo davvero come occasione per rilanciare un’area cronicamente sottosviluppata. Oppure avrebbe avuto senso lasciarlo a paesi come il Turkmenistan o la Mongolia, non conosciuti in quanto destinazioni turistiche.
- L’Italia ha un disperato bisogno di investimenti infrastrutturali. L’Italia ha meno autostrade pro capite di Portogallo, Spagna ed Ungheria. Gli scandali sulle scuole mal mantenute si sprecano, e Fiumicino va a fuoco a metà stagione estiva. I potenziali investimenti infrastrutturali, e con ricadute stabili e permanenti sull’economia italiana, si sprecano.
- 14 miliardi sono un mucchio di soldi. Creare posti di lavoro e “ricadute” favorevoli sull’economia, con questa cifra, è davvero un gioco da ragazzi.
Se il governo avesse usato questi soldi per assumere persone che guardano il cielo, sarebbero stato possibile mantenere 100.000 cittadini per quattro anni, con un salario di circa 40mila euro lordi all’anno. Pensiamoci, quando leggiamo dei “200.000 posti di lavoro” creati grazie ad EXPO 2015.
Tutto questo per arrivare ad una fatidica domanda: e quindi?
Quindi, i soldi sono ormai stati spesi ed è giusto cercare di ottenere il massimo da questo investimento (per questo sono a favore di tenerlo aperto oltre Ottobre). Il vero problema, però, è la convinzione diffusa che l’EXPO 2015 sia stato un successo e la difesa dell’evento da parte di (quasi) tutti gli orientamenti politici. Questo porta al rischio che un investimento così erroneo possa ripetersi in futuro, alla prossima grande opera (Olimpiadi 2026, TAV, ponte sullo stretto, a voi la scelta).
Personalmente, non mi stupisce che nel paese che ha creduto al metodo Stamina l’opinione pubblica non sia capace ad effettuare un’analisi puramente razionale su come i fondi dell’EXPO 2015 si sarebbero potuti investire meglio.
Siamo un paese di analfabeti funzionali, capaci solo di lamentarci con trovate come lo sciopero dei forconi, ma inetti a comprendere come si possa cercare di ottenere il massimo dall’evento ma, al contempo, non dimenticare gli errori del passato.
Polarizzati su opinioni bianche o nere, additiamo sempre la politica come causa di ogni male, dimenticandoci però di combatterla (facendola) nelle sedi più opportune.