Mi ricordo #2 - Mio nonno - TheCio

Mi ricordo #2 – Mio nonno

Esplorare quei tic che ogni tanto riaffiorano sulla superficie della memoria dal profondo del nostro inconscio, provare a fermare il tempo e i suoi odori, gusti e colori. “Mi ricordo” è tutto questo, e forse anche qualcos’altro.

Infanzia

Mi ricordo di mio nonno quand’ero bambino. In effetti, chiunque di noi abbia avuto la fortuna di avere un nonno o una nonna, credo non abbia troppe difficoltà a ricordarsi dei momenti passati insieme. Una cosa che mi ricordo bene, ad esempio, è quando io e mio cugino restavamo a dormire a casa dei nostri nonni, in quella cameretta fatta apposta per noi, piena di vecchi vestiti, giocattoli e peluche di ogni forma e dimensione. Quando succedeva, il mattino seguente ci svegliavamo di buonora per preparare la colazione; ma un po’ per il nostro già nascente spirito di cuochi amatoriali, un po’ perché abbiamo sempre trovato il nostro ordine esistenziale nel caos, il nostro “preparare la colazione” significava allestire la tavola in cucina con ogni tipo di oggetto che facesse comodo al nostro buffet: tazze, piatti, caffettiere, cose che ancora oggi fatico a collegare ad una qualche funzione specifica. E poi, ovviamente, tutto ciò che soddisfacesse anche i gusti del migliore (o peggiore) buongustaio: prosciutto, sottilette, conserve sottolio, e naturalmente, burro marmellata biscotti e via dicendo. Infine, una serie infinita di centrotavola rubati dal salotto o dalla camera da letto: un vaso di fiori, una pietra preziosa ricordo di una vacanza a Tunisi, un modellino di motocicletta Guzzi. Com’è facile prevedere, il risultato era una gran confusione, e così mio nonno era costretto a sistemare per ore. Ma il sorriso della nonna appena sveglia davanti a quella tavola imbastita credo valesse tutte quelle ore di pulizie forsennate.

Ma no, non è questo il tipo di ricordo che intendevo. È qualcosa di più profondo, che ho realizzato soltanto oggi, a venticinque anni: è ricordare come mio nonno sia stata la mia prima fonte di ispirazione per tutte le cose che ho fatto nella mia vita. Inconsciamente o consciamente, le prime vere canzoni le ho ascoltate con lui, quando nei pomeriggi d’inverno, che non si poteva uscire a giocare, ce ne stavamo in salotto ad ascoltare i Carmina Burana, che a me e mio cugino piaceva richiedere con una formula del tipo nonno, nonno, mettici i francesi arrabbiati! e con quella musica fingevamo di cavalcare e combattere contro nemici immaginari, attori di una guerra mai esistita se non nella nostra fantasia di bambini. E poi la letteratura, i primi libri rubati dai suoi scaffali e i pomeriggi a cercare le nozioni nelle enciclopedie; la prima chitarra che ho toccato nella mia vita, seppure ancora oggi sia senza corde: un esemplare rarissimo, ornato a mano e con il corpo a forma esagonale, un oggetto appartenuto al mio bisnonno, persona che, mi dicono ancora oggi, è un peccato tu non l’abbia conosciuto, avevate lo stesso senso dell’umorismo!

Di mio nonno ricordo anche l’educazione tutta sua. Si poteva mangiare a torso nudo, certo, ma guai a bere un bicchiere d’acqua durante il primo piatto, altrimenti ecco che tuonava con il suo tormentone preferito: la volevi in brodo la pasta? e questo ci portava a bere molto prima di pranzo, o di nascosto, quando si alzava per controllare le bistecche o le verdure. E poi ricordo la scoperta del suo spirito di viaggiatore: ascoltare i suoi racconti sui viaggi per l’Europa in sella alla sua moto e starsene a guardare le sue diapositive per ore; il mulino a vento in miniatura preso ad Amsterdam con cui mi divertivo a giocare di nascosto; ma sopratutto la sua collezione di elefantini (che oggi dovrebbero essere all’incirca tre centinaia), testimonianze dei suoi infiniti viaggi per il mondo. Oggetti di poco valore, ma così ricchi di significato da farmi comprendere come possedere le cose non sia così sbagliato o immorale, se quelle cose significano davvero qualcosa per noi.

Ogni tanto qualche barlume di ricordo bussa alla mia testa: un’espressione, un odore, una parola detta così, una canzone, un elefantino. E ognuno di questi ricordi sfocati ed evanescenti va a comporre un grande puzzle che giorno dopo giorno mi è sempre più chiaro e definito: che lo vogliamo o no, siamo tutti composti da geni e vita vissuta, da anatomia e esperienza.  In un certo senso, è confortante sapere che entrambe le cose mi siano derivate in parte da mio nonno, e che larga parte di quello che sono oggi, lo sono anche grazie a lui e a questi nostri ricordi consumati.

Lorenzo Martinotti

Foto di Carola Perinotti

A cura di Lorenzo Martinotti

Musicista - scrittore - studente di lettere. Il resto conta poco.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.