Consigli per gli acquisti è una rubrica che parla di rapporti umani. Specialmente della pessima gestione dei suddetti.
Ho tre tipi di ricordi: quelli normali, quelli che non vorrei avere e quelli che avrei voluto avere.
La prima categoria la conosciamo tutti: il nostro vissuto. Bianco, nero e grigio. Sfumature di una vita, accumuli di avventure e situazioni. Un insieme di eventi che abbiamo vissuto, a cui abbiamo assistito, che per un modo o per l’altro si sono scavati un posticino speciale dentro di noi. Li serbiamo e li usiamo: nel momento della felicità, nel momento del dolore. Ci fanno caldo quando fuori fa freddo, ci danno una spinta quando siamo insicuri. Sono la nostra storia, una parte fondamentale di quell’infinito che è il nostro essere.
La seconda categoria. I ricordi che proprio vorrei non avere. Il tempo passa e sfumano nella prima categoria, normalizzandosi, perdendo colore e andando, inevitabilmente, a scrivere pagine della mia vita che sono lì e non si possono strappare. Sono quelle situazioni in cui noi non abbiamo nulla da poter fare o poter dire. Ci troviamo, passivamente, a viverle. Le nostre azioni seguono un copione idiota e ci sentiamo intelligenti quando, per quella fottutissima volta, riusciamo a dare una nuova versione a situazioni che sembrano già scritte.
Sono lì, piccole perle che ti fanno incazzare, piccoli atti che vivi a fondo. Il brutto di avere un certo tipo di sensibilità è che quando qualcosa ti accade non riesci a liberartene fino a che non la vomiti addosso a qualcuno. Allora perdi il controllo, fai uscire tutto, diventi la versione di te che ti piace di meno. Il mostro arriva, esce dalla gabbia, inizia mordere e vuole il sangue della persona che sta davanti a te, che sta dall’altra parte di un telefono o di un computer. Non riesci ad essere lucido e butti fuori questo come veleno. Vorresti gestire meglio il tutto. E invece ti trovi lì, arrabbiato, a guardare un cellulare, cercando di capire in che modo qualcuno che ti dice “ti voglio bene” potrebbe farti sentire in quel modo.
Una volta urlavo.
Ora, quando sono alterato, tutto il mio odio si riversa in quelle parole che tieni nascoste lì, in basso a destra, sperando di non doverle usare mai. Distruggi rapporti che sai che sono tossici, spandendo dolore in un mondo in cui non ha senso ne esista anche solo un grammo di più di quello che esiste già.
Odio quei ricordi. Però il tempo normalizza pure quelli.
La terza. I ricordi che avrei voluto avere. Voli pindarici di avventure che non potrò mai vivere. Nostalgia di storie non vissute, di attimi non assaporati. Una volta ero molto meno coraggioso, li lasciavo lì, come incognite, giocandoci ogni tanto, non capendo che è inutile lasciare tutto sospeso nell’aria. Ci sono certe situazioni che non siamo destinati a vivere. Allora, metto in gioco tutto me stesso, e cerco di capire se c’è anche solo una remota possibilità che essi possano diventare ricordi veri.
Ci provi e vedi che no. Sono solo chimere. Però li faccio scomparire. Capisco che non fanno parte della mia storia, del mio destino. Fallisco. Perdo. Mi arrendo. Sbatto contro i muri. Ma non intendo lasciare mai nulla di intentato, alcun rimorso.
È sempre meglio avere ricordi, che possono anche fare male, che sognare di avere ricordi, che non sai se sarebbero potuti esistere. E ti senti più libero e leggero, in un certo qual modo.