Gira e rigira, torno sempre a pensarci; mentre parlo con gli amici, mentre cammino per strada e mentre sono a letto. Quest’essere a mio agio mi sta stretto. Il che è una contraddizione, un paradosso, lo vedo da me. Eppure non posso fare a meno di continuare a pensarci: a quella sensazione di stare sempre sulle spine, a quel vuoto sotto i piedi che ti prende fino al petto e il cuore che fa un salto, poi un altro e non sembra volersi fermare. Il continuare a chiedersi quando farò un passo falso – quando, non se, perché tutti prima o poi lo facciamo quel passo falso – e allora l’essere in bilico precario diventerà cadere irrimediabilmente; le mani che sudano a prescindere dalla temperatura esterna e la mente che scandaglia alla ricerca di qualcosa d’intelligente da dire. Ѐ una serie infinita di “e” che si susseguono, anzi, ti rincorrono. Ed è faticoso; ti ritrovi alla fine della giornata stanco e confuso, con una moltitudine di domande in testa a cui non potrai forse rispondere mai.
Non fraintendetemi, l’essere a proprio agio è una di quelle cose meravigliose, come lo stare in pigiama – che diciamocelo è una cosa imbattibile, insieme al proprio dolce preferito e alle lasagne – ma non è quello che sto cercando. Se sto cercando qualcosa.
L’ansia d’essere sempre perfetti – che è abbastanza ridicola a pensarci, perché perfetti per chi? Per se stessi? Per quella persona a cui pensi troppo spesso? Per tua madre? Una serie di tanti me diversi nella loro perfezione inesistente. – che pesa su ogni gesto o parola, ho quasi creduto per un breve periodo fosse un male. Limitava chi ero davvero e lasciarla andare mi sembrava l’unica soluzione. Adesso, invece, penso d’essermi in parte sbagliata. Ѐ vero, forse non sei la stessa persona che s’ingozza di gelato sul divano in pigiama, ma in fondo non sono sempre io quell’ansia? Il voler fare qualcosa, il ripensarci, soppesare pro e contro, decidersi, tentennare e dire “No, è meglio lasciar stare” e magari alla fine farla lo stesso; è parte di me. Soprattutto, senza quell’ansia, quel pungolo costante e i pensieri che schizzano qua e là sarebbe tutto così vuoto, così piatto, così insignificante. Come potrei altrimenti capire che è importante?
Non è altro che egoismo. Puro e semplice. Una forma viscosa che si aggrappa con tutte le forze e non ne vuole sapere di mollare la presa, attanaglia qualsiasi organo e lo trasforma in un ingranaggio di un sistema complesso: ruota tutto attorno al possesso, al desiderio di stringere un laccio tutto attorno. Non vuole perdere nulla, neppure un secondo, né un centimetro o un profumo o una risata, qualunque sia insomma l’unità di misura dei sentimenti. Un eterno ritorno al sentire, sempre e solo il sentire. Provare, giusto per la pura necessità di saper d’essere vivi. O forse per sapere se è la cosa giusta.
Ecco perché questa calma mi sta stretta, non voglio credere che sia la risposta. Se non fosse altro che indifferenza nascosta dietro una maschera di pace?
Gira e rigira, torno a pensare che non fosse poi così male chiedermi chi ero quando ero con te.