Mi dicono che dovrei essere più positivo.
Cosa vuol dire essere positivo?
Senza suonare stucchevole o scontato, la società di oggi chiede e richiede perennemente un approccio di un certo tipo: sorridente, che guarda sempre a ciò che è bello, che alla domanda “come stai” risponde “bene e tu?” con un sorriso da trentaduedenti.
Io faccio fatica a sorridere, non fa parte di me. Sarà perché ho passato tanti anni con l’apparecchio, sarà perché sono di carattere un po’ chiuso e non voglio che gli altri capiscano quando sono felice, non ne ho idea.
No, non riesco ad essere sorridente.
Faccio anche fatica a parlarne.
Lo so che le persone intorno a me mi vorrebbero così, una versione allegra e gioviale di me stesso, che ogni tanto esce, ma non è la mia normalità. Negli anni ci hanno sempre provato, ci ho sempre provato pure io, ma semplicemente sono arrivato al punto che non fa parte di me.
E capisco che ciò che ho intorno faccia fatica a comprenderlo e ad accettarlo: “Oddio, non vuoi essere felice?”
Certo che vorrei essere felice. Sono solo stanco di doverlo essere sempre.
Credo, anzi, che la felicità sia un sentimento raro, da curare e da serbare per i momenti difficili e trovare lì le forze con cui andare avanti e decidere di non gettare la spugna.
Invece il mondo intorno a me mi urla il mio dover essere e io sono lì, che li guardo. Una volta mi arrabbiavo, ora forse è peggio, perché mi svuoto. Ogni volta che sento quelle frasi una parte di me evapora, un po’ come in Infinity War.
Pian piano tutta questa positività forzata porta via parti di me, facendole scomparire. Tutto ciò lascia un guscio, una impressione di ciò che c’era e che pian piano viene riempita da un sorriso di circostanza o dall’evitare di rispondere veramente alla domanda “come stai”.
Forse è solo un periodo.
Forse è solo una fase.
E io, scemo, che credevo di esprimere la mia positività in tutto quello che faccio. Parliamoci chiaro. Non fossi, in qualche mio strano modo, molto positivo di fondo, non farei tutto quello che faccio.
Avrei abbandonato tutto al lento decadimento a cui tutto è destinato, senza ergermi, ogni giorno, contro il vento. Un passo dopo l’altro verso la direzione avversa. Giorno dopo giorno andando all’opposto rispetto a dove il tutto converge.
Utile? Giusto? Corretto?
Non lo so, ma è il mio modo e tanto mi basta.
E ci sono tante cose che mi fanno indiavolare. Tutti quelli disposti a farmi le lezioni sul come dovrei vivere, sul fatto che dovrei essere così e non cosà, ma che quando mi lancio nelle mie battaglie non muovono mezzo dito per mostrarmi un supporto.
E allora mi viene da dire, qui, in chiusura: non è che vedendo me, non positivo, vi spaventate perché anche voi lo siete, ma avete paura a mostrarlo?
Decio