C’è un uomo che sta lavando i suoi vestiti alla lavanderia a gettoni. Guarda i suoi jeans scuri vorticare e appallottolarsi con la sua felpa blu e le sue lenzuola a quadretti grigi e bianchi, i suoi calzini gialli che ogni tanto fanno capolino e ridanno colore e vivacità a quella matassa frenetica di lana e cotone e acrilico, che gira su se stessa e si mischia alla schiuma e al sapone. Io sono seduto a fianco a lui, ci facciamo un cenno che entrambi interpretiamo come un tacito gesto d’intesa, come se ci stessimo parlando in un codice ben preciso e a noi noto, il codice della lavanderia, per l’appunto. Mi guarda e alza gli occhi al cielo. Nel nostro codice significa: “Eh, bisogna pur lavarli, questi dannati panni”. Io gli rispondo con una smorfia scomposta che più o meno coincide col piegare la bocca verso destra. Gli sto dicendo: “Puoi dirlo forte, ma cosa dobbiamo farci”.
Mi volto, forse un po’ imbarazzato. Magari lui conosce il codice meglio di me e mi ha detto qualcosa in più, qualcosa che non ho colto e che mi avrebbe cambiato la giornata. Infondo sono solo un parvenu, io che alla lavanderia a gettoni ci vengo da un annetto e mezzo, mentre lui invece porta con sé i segni palesi della sua esperienza: una grossa busta di plastica, un flacone di detersivo, uno di ammorbidente, un porta monete in finta pelle marrone.
Io invece ho fra le mani il Grande Gatsby di Fitzgerald, comprato in una bancarella a 0,99 in Sardegna, era una cosa come tre anni fa. Non l’avevo mai letto, tanto meno l’avevo tenuto in vista nella mia libreria. No, anzi, stava in un cassetto, nascosto in tutto il suo pallido giallore luccicante e plasticoso della copertina, con sopra stampato a caratteri cubitali la scritta a soli 0,99 centesimi. Stava in un cassetto perché leggerlo avrebbe significato ricordare quell’estate. E fino a qualche giorno fa non ero pronto a ricordarmene. Poi una notte l’ho ripescato, l’ho aperto, mi sono sentito pronto e immediatamente me ne sono innamorato.
Piego l’angolino di una pagina che mi ha colpito, mi rendo conto che le sto piegando tutte, finisco il capitolo e guardo verso la mia lavatrice. Il mio maglione rosso della Nike spicca sul grigiore del resto della mia roba. Mancano tre minuti, forse pochi per iniziare un nuovo capitolo. Allora poso il libro e torno a guardare quella sorta di veterano delle lavanderie a gettoni. Mi sono scordato di dirlo: è un uomo sulla trentina, è calvo ed è molto grasso, ma ha un’aria rassicurante, un volto rilassato, un aspetto che non può che ispirare bontà e fiducia nel genere umano. Lo guardo e mi accorgo che lui è stato tutto il tempo a guardare quel vortice che è la sua lavatrice. Si volta e i nostri sguardi si incrociano di nuovo. Alza le spalle e sorride. Significa: “Anche oggi non ho incontrato la donna della mia vita alla lavanderia a gettoni”. Sorrido guardandomi i piedi, il che vuol dire: “Amico, temo che non la troveremo di certo qui”. Lui ha ancora un sorriso stampato sulla faccia e guarda il timer rosso della lavatrice scorrere ed arrivare all’ultimo minuto. Mi fa un cenno con la testa verso la sua lavatrice. Vuol dire: “Visto che roba?”. Allora si posiziona ben bene, sgrana gli occhi e piazza i suoi piedi misura quarantasette ben saldi sul pavimento. Se lo vuole godere fino in fondo, quell’ultimo minuto. Vuole farsi cullare da quel rumore di centrifuga, fuggire il quotidiano per rifugiarsi in un posto che non mi è permesso sapere dove si trova. Mancano trenta secondi. Trattiene il fiato e si mette le mani davanti alla bocca, la sua concentrazione è arrivata al massimo. Alla fine la lavatrice si ferma, lui alza gli occhi al cielo e mi guarda, buttando fuori tutto l’ossigeno accumulato dentro i suoi polmoni. C’è una nota di rammarico nel suo volto, come se fosse dispiaciuto per me, che preso dal mio libro mi sono perso quello spettacolo meraviglioso.
Raccoglie la sua roba e mi saluta, annuendo con la testa e socchiudendo gli occhi. Nel nostro codice significa: “Hai mai provato a guardare le cose entrandoci dentro, sfaldando la materia e aprendoti un varco che si spinge oltre il significato della quotidianità?”