Xīng si alza da terra e raggiunge la madre che sta ravvivando un misero fuoco in giardino. Il padre osserva la parte femminile della famiglia dalla finestra in soggiorno, scollando gli occhi dallo schermo e dai numeri che compongono la sua vita. Posa gli occhiali accanto alla tastiera, si preme gli occhi con pollice e indice, torna al lavoro. 24 anni di matrimonio, una figlia e il padre della moglie a carico, un lavoro che lo sfianca, mentalmente ed emotivamente. Non che lavorare nel giornalismo lo disgusti; anzi, è sempre stato uno dei suoi interessi fin da quando aveva iniziato gli studi superiori. Finita l’università era stato assunto in una nota redazione con sede in centro, un grattacielo di vetro che permetteva alla città di essere vista da ogni prospettiva; o almeno credeva. Ben presto gli occhi illuminati che lo avevano accompagnato attraverso le porte dell’ufficio il suo primo giorno, si spensero. L’enorme palazzo permetteva solo un punto di vista; il lavoro aveva appiattito un’altra passione. E allora a cosa credeva di andare incontro quando si era candidato per il posto?
Sono le 7 e il sole ha già lasciato il quartiere periferico di Laozengjia, Chengdu, avvolgendo i tetti di un’aria scura che sa di foglie cadute. Un gatto attraversa guardingo il cortile e va a infilarsi sotto un cespuglio, inseguito solo dallo sguardo della bambina.
“Ma’, cosa fai con quel fuoco?” canticchia la ragazzina, smuovendo la base delle fiamme con un bastone trovato lì accanto. La madre non sposta gli occhi dalla pila di legna ardente e con voce svogliata risponde: “Tengo accesa una scintilla, credo”. Ma la curiosità di una dodicenne non si spegne tanto facilmente e Xīng viene mandata a suon di sospiri dal nonno materno, una di quelle persone che sa cosa non bisogna dire (e che proprio per questo parla pochissimo).
“Quel fuoco, eh?” soppesa le parole, le ricerca e nella sua mente cerca di accostarle, come tante tesserine di un puzzle. Gli occhi sembrano scattare da un anno all’altro, cerca tutte le parole della sua vita che si possano ricollegare al fuoco. Le sfiora, le accarezza, fiero di aver accumulato una tale mole di considerazioni ed esperienze in una esistenza. Eppure appaiono tutte inutili, ora, davanti una ragazzina che di esperienza aveva appena un assaggio. Che senso ha ricoprire di parole, veloci riassunti di esperienze talmente distanti -o così sembrano- da apparire oramai inutili? Lei, creatura ancora innocente, che le esperienze vuole veder susseguirsi davanti a sè. La sedia sul porticato cigola mentre il nonno richiama a sè tutte quelle idee che gli appesantiscono il corpo.
La madre intanto osserva incantata il fuoco. Il viso è bollente, i vestiti cominciano a diventare teli caldi e secchi ma lei è immobile che si gode il bruciore. Le ricorda la sensazione del the amaro e bollente che le scende in gola; le ricorda quel capodanno, attorno al fuoco del camino col marito. Con la luce negli occhi si erano promessi l’amore, prima di tutto, e la famiglia, poi. Col 10imo anno di matrimonio divenne chiaro che la famiglia era passata al primo posto, una sorta di spinta naturale e primitiva al mantenimento della specie che lei non sopportava: non voleva rendere il mondo un posto migliore o perpetuare il ciclo umano, voleva solo amare il più possibile nell’unica vita che le era stata concessa. Questo aveva creato in lei la voglia di ricercare gli errori e le asimettrie; nelle sue mattinate solitarie (dopo il matrimonio le amiche erano quasi tutte sparite e così si ritrovava a fare spese da sola) coltivava questo amore per lo sbagliato cercandolo nelle sagome dei palazzi, nelle geometrie dei parchi, nella casualità della natura. L’arrivo di Xing aveva cambiato tutto; la passione per le inesattezze e le incongruenze del mondo era confluita nella piccola. È la figlia, l’amore, e la prova è quel neo sulla guancia sinistra, asimmetrico. Non aveva più bisogno di cercare quel neo nelle forme esterne, aveva creato l’asimmetria, e poteva ora ammirarla quanto e quando voleva.
“Vedi, quando tuo nonno era giovane, la nostra famiglia abitava in un villaggio, due ore di automobile da qui. I tempi erano diversi e diverse erano le tradizioni. Con l’arrivo del periodo invernale si usava accendere falò nei cortili delle nostre case, la sera, e sorvegliarli per tutta la notte, fino all’arrivo dell’alba. È questo che sta facendo tua madre, tiene vivo il falò fino alla mattina.
Il falò illuminerà il cortile per tutta la notte, proprio come le nostre passioni illuminano le cose che ci stanno vicine. Lo teniamo acceso per ricordarci di quelle emozioni; possono tradirci o deluderci ma sono quelle che ci rendono umane. Dobbiamo tenerle accese nei periodi bui, il sole sorge prima o poi.”