Festa della Liberazione, un paio di appunti da un rompiscatole.
Il derby comunisti e fascisti io lo vivo dalle medie. Quando c’erano i miei compagni di classe che si definivano “fascisti” e disegnavano le celtiche sui quaderni. Al liceo, andando al classico, il problema c’era ma era “minore”. Io, da buon rompiscatole, quando mi chiedevano “sei fascista o comunista?” rispondevo sempre “io sono anarchico” (e mi leggevo Chomsky, Bakunin e Proudhon in terza media, buone abitudini che forse dovrei riprendere).
Io lo dico, appunto, dalle medie, che La Festa della Liberazione ed in generale tutto ciò che è ricordo storico di un tempo in cui noi italiani non eravamo esattamente tutti “puliti”, necessita di un grande processo di interiorizzazione. Questa polarizzazione, tra buoni e cattivi, tra partigiani e soldati americani (e i soldati sovietici non li mettiamo perchè qui non sono arrivati, non sono uno storico, ma la logica ed il buon senso mi dicono che se i tedeschi non fossero stati impegnati nel fronte orientale sarebbe stato molto meno facile), tra fascisti e anti fascisti, questa faciloneria nell’analizzare un grande fenomeno complesso che fa parte della nostra cultura, non ci fa bene.
Evidentemente il vulnus è ancora forte ed aperto, a chi ora si dice “di sinistra” fa fatica ammettere che ha avuto parenti fascisti (ed anche convinti), a chi ora parla di “quando c’era lui” fa fatica ammettere che il pro zio metteva le bombe sotto i convogli dei fascisti. Ci sono famiglie che hanno ospitato partigiani mentre curavano i soldati nazisti.
Io credo, anzi ripeto, che per me La Festa della Liberazione, debba avere diverse chiavi di lettura. Non solo quella semplice e semplicistica di un dualismo, ma anche quella complessa dell’analisi di che cosa essa sia significata a livello psicologico per un popolo diviso (ma fino ad un certo punto, perchè noi italiani ce l’abbiamo dentro sta cosa dell’avere a cuore un leader e poi ucciderlo in pubblica piazza).
Non sono un sociologo, non sono uno psicologo e neanche uno storico, ma ho imparato ad accettare anche le parti di me che mi fanno cagare, ed accettare che abbiamo una festività in cui ammettiamo di aver sbagliato e siamo felici di esserci liberati di una parte oscura di noi, mi sembra giusto e corretto.
I fascisti eravamo noi, non altri. E per me la festa della liberazione significa anche essersi liberati dall’invasore straniero nazista (che poi questo abbia significato il mettersi sotto un altro tipo di invasione, lo diranno gli storici fra qualche centinaio di anni).
Ora però mi trovo a vedere un sacco di persone che si meravigliano quando, appunto, io è dalle medie che mi sento dare del “comunista” dai “fascisti” (alternato a borghese del cazzo, che poi vaglielo a spiegare che il fascismo era l’arma dei borghesi, ma non importa). Il problema c’era quindici anni fa e non è stato fatto niente per risolverlo.
D’altra parte, però, tutti i sepolcri imbiancati che oggi lamentano la frase “derby comunisti e fascisti”, si facciano una profonda analisi di coscienza: quante volte hanno dato e distribuito patenti e patentini e certificati di antifascismo? Quante volte, in nome dell’altissimo ideale dell’anti fascismo, hanno combattuto battaglie usandolo e stortandolo per i propri mezzi e fini? Quante battaglie oggi vengono definite “antifasciste” quando non hanno niente a che fare con esse? Quanto fa comodo usare una cosa di tutti (sì, perchè l’antifascismo è di tutti, come il fascismo è stata una parte della storia Italiana, non una storia aliena di un’altra galassia) per i propri fini? E mi dite che sarebbero dovute essere queste cose, a fare in modo che io, alle medie, non vedessi i miei compagni a fare le croci celtiche?
Dove abbiamo sbagliato? Dove stiamo sbagliando?
Per me l’antifascismo è Matteotti che non ha paura di dire le cose che ha detto, non chi grida “al lupo al lupo” salvo poi meravigliarsi se Casapound apre una sede a Biella.
Decio