Lo vedo. Il mio peggior nemico. La rappresentazione materiale di tutto ciò che detesto di me stesso. I miei limiti. Dove sono arrivato. Le mie catene. Le mie ansie. Le mie paure. Quelle azioni che finisco a fare e mi odio subito un quarto d’ora dopo per averle iniziate. La mia parte debole: quella ancora che si fa prendere dalle critiche e non riesce a estrarle dalla loro dimensione e le vede come un attacco personale, quella che ancora una volta presta attenzione alle voci di quelle persone che quando le cose vanno male sono pronte a dirti “beh ma non può andare sempre bene” e quando vanno bene “ha solo avuto una botta di culo, mica è bravo, quello, anzi è merito degli altri”.
Poi lo guardi meglio. Quelli occhi, per avere ventiquattro anni di cosette ne hanno viste un paio. Pugnalate alle spalle da parte di uomini nei confronti dei propri maestri. Giurare amore eterno e spergiurare un quarto d’ora dopo per un po’ di caldo in mezzo alle cosce di qualcun altro. Amicizie tanto declamate trasformarsi in massacri di sangue, in cui o prendi parte o ti ci fanno prendere parte. Vedere persone parlare di bene comune e poi fare di tutto per il proprio, di bene. Usare parole come ideali e valori per tornaconti personali. E quello lì, che tanto detesti, c’era sempre ed è andato oltre ognuno di quei singoli momenti nella sua storia. C’era prima, c’era dopo e ci sarà anche domani.
Vedi le cicatrici. Le cadute. Lui le ha fatte con te. Ognuna di quelle. C’era quando ti tiravano le mutande in testa, c’era quando venivi sfottuto perché figlio di divorziati, c’era quando non ne potevi più di essere il figlio dei divorziati, quando non ne potevi più del divorzio. Certo, lo detestavi comunque, non potevi vederlo e oltretutto ti faceva sempre fare figure di merda con le ragazze. Ma lui era lì, quando anche ti dicevano che il dolore, quello tuo, che solo tu e sempre solo tu saprai di che gusto saprà, non era nulla comparato a quello degli altri. Certo. C’è sicuramente chi ha passato eventi che neanche posso immaginarmi. Ma guarda caso, sono quelle persone che quando vedono quello lì, nello specchio, sanno benissimo chi è. E si aprono, con quel mostro che mi guarda sorridendo. Avete idea, del male che può fare qualcuno a cui magari volete pure bene, che vi guarda negli occhi e vi dice che il vostro dolore non conta niente? Nel grande gioco delle stelle, no. Ma in quel piccolo mondo che è la mia vita, il mio dolore, conta.
Sei tutti i miei limiti che ogni giorno credo di superare e invece si allontano sempre un po’ di più. Sei quello che mi trattiene fermo dal chi vorrei essere, ricordandomi chi sono. Sei quello che mi spinge ogni giorno a migliorare, a diventare chi sono davvero e non chi vorrei essere. Il tuo sguardo, beffardo, mi spinge ogni settimana a fare il conto e a capire dove sbaglio e dove posso migliorarmi, avvicinandomi a quella perfezione tantalica, a cui aspiro da quando ho iniziato a capire cosa volesse dire aspirare.
Tu, uomo nello specchio. Sei tutti i miei brutti momenti, fissi. Incisi sulla tua pelle. E ci sono scritti i nomi di chi c’era e con me combatteva e di chi, invece, se ne era solo approfittato. Tu, però, con quel tuo ghigno a metà, mi ricordi anche che insieme di bei momenti ne abbiamo passati. Che però, sono solo il risultato di tutto quel correre che mi fai fare, di quel faticare, di quel mondo che voglio creare a cui, tu, ogni fottuto giorno, mi spingi.
Sei tu, sei la storia della mia famiglia, dei miei amici, dei miei nemici, di chi ho amato e di chi odio, sei la mia storia. Non posso dire di amarti. Posso dire di essere fortunato e di vivere questa storia, e non altre, ben peggiori, però avrei preferito forse avere qualche sollievo in più. Ma non sarei quello che sono oggi, che si trova qui a scrivere queste quattro righe sconclusionate. Quindi, ancora una volta, prendiamoci per mano.