“Alle volte, semplicemente non mi va” mi dice portando in alto le mani per poi lasciarle cadere verso i fianchi. “Non mi va di uscire di casa e fare finta di niente. Non voglio fingere, vorrei solo affrontare apertamente le nuvole che ho nel petto e cacciarle via o lasciare che piovano e si esauriscano. E se poi scopro che non se ne andranno mai, almeno ne avrò la certezza”.
Gira la testa verso di me. Sembra insicura. Probabilmente non sa se ho compreso davvero quello che vuole dire. Magari ha anche paura di passare per pazza.
Da un certo punto di vista, la ammiro. Sta facendo quello che avevo paura di fare l’estate scorsa con lei: aprirsi. Ne ha paura anche lei, ma almeno ci ha provato. È sicuramente più di quanto abbia mai fatto io.
Mi dice che le dispiace, che ha sempre vissuto aspettandosi qualcosa. Le rispondo che va bene, che ho sempre vissuto aspettando, forse le due cose in qualche maniera si bilanciano.
Si risiede accanto a me sui gradini della chiesa. Prende l’accendino che ho vicino e si accende una sigaretta rollata. Penso di non averla mai vista fumare con così tanta soddisfazione. Il velo di nervosismo che le scuoteva la mani ora sembra dissolto nell’aria.
Mi sta chiedendo scusa. “Non devi scusarti. Non è colpa di nessuno”, dico anche se in fondo sento di essere io il colpevole.
Stasera sia io che lei riusciamo a parlarci davvero, nessuna difesa e nessuno scudo. A qualcuno potrebbe sembrare una cosa stupida e ovvia. Ma un anno fa, quando sentivo fosse il momento di fare lo stesso, non ci ero riuscito. E più mi sforzavo, più mi allontanavo dalla realtà di ciò che stava accadendo tra noi. Insomma, non riuscivo ad essere me stesso. In un primo momento pensavo semplicemente di non essere pronto. Eppure, dopo una analisi logica, il momento giusto era davvero quello. Sembrava quindi chiaro che il problema non fosse in noi ma tra noi. Semplicemente non eravamo compatibili.
Ma lei ora lascia che gli occhi azzurri assecondino le parole. Vi pone accenti precisi, onesti e netti. Le dita seguono l’andamento del tono, lo sostengono. Ciò che mi sta dicendo è scritto dentro di lei e lo sta semplicemente leggendo.
“Forse sono terrorizzata dal tempo, non capisco” mi dice.
“Non capisci se sei terrorizzata?”, chiedo.
“No, non capisco il tempo”. Le sorrido.