Qui, per la parte 1 di 3.
Eve prese dallo zainetto che si portava sulla spalle un thermos. Ne tirò giù due profonde sorsate e si perse per qualche secondo nel bruciore del the che le attraversava la gola. Ne sentì il tepore nello stomaco. Piccoli microspasmi le percorsero il corpo, rilasciando la tensione dei muscoli, stanchi e provati dallo stress.
Rimise via il contenitore metallico e riprese a camminare. Superò il Flying Sailer sulla Westerstraat e raggiunse il piccolo porto di Oude Haven, Marken. Quando era piccola e la settimana scorreva fino a domenica, i suoi genitori la portavano lì. Tutti e tre camminavano per ore tra le vie pedonali. Ogni tanto lei scattava in avanti, lasciando indietro i genitori. Si piazzava davanti qualche cespuglio o albero e cercava di contare i grossi ragni che lo abitavano. Forse per quello non aveva mai avuto paura degli insetti. Al contrario, la avevano sempre affascinata. Dopo averli numerati e osservati, raggiungeva i suoi, che nel mentre l’avevano superata. Sua madre ripeteva ogni volta “Eve, non ti allontanare troppo“, con un tono talmente amorevole e privo di paure che a Eve sarebbe in fondo dispiaciuto disobbedire e increspare quella serenità materna così calda e appagante.
Aveva i capelli castani, allora. Brillavano quando sul paesino splendeva il Sole e si spegnevano quando le nuvole lasciavano che la pioggia smuovesse i cespugli dove vivevano gli insetti. Si sentiva in qualche modo vicina ai piccoli esseri.
Si rimise a posto la cuffia rossa sulla testa. Indossò uno sguardo vuoto e immobile davanti a sè e si mise a camminare verso nord, ignorando la distesa di acqua alla sua sinistra.
“Faccia rapporto“.
Freek riusciva a immaginarsi la cinquantenne che furiosa batteva sui tasti del cellulare. Vedeva una goccia di the penderle dal mento e una scatola di biscotti al burro sventrata e abbandonata sul tavolo. Ignorò il messaggio e continuò a guardarsi attorno, stando bene attento a toccare il meno possibile.
La casa di Eveline era maniacalmente ordinata. Ogni soprammobile, foto o souvenir era disposto in maniera precisa, come se seguisse un piano per un fine superiore. “Deve essere ossessiva compulsiva” pensava mentre guardava una fotografia posta sulla scrivania. Era perfettamente allineata col bordo del tavolo. Una bambina e sua madre sorridevano alla camera. Dallo sfondo doveva essere stata scattata a Marken.
Un terrario occupava il ripiano intermedio di una libreria. Dentro piccole formiche si affacendavano. Alcune di loro stavano riaprendo i tunnel che davano sulle scorte di cibo.
Riavvolse ancora il nastro della propria memoria e cercò di ricordare. Rivide nell’occhio della sua mente la ragazza di spalle rovistare nel grande baule davanti la finestra. Era effettivamente l’unico angolo della casa in disordine. Ma nel baule lasciato aperto restavano solo una coperta sdraiata sul fondo e un cuscino. Non molto per cominciare una ricerca.
“Ma non so neanche cosa cercare“.
Aveva attraversato tutta la sottile striscia di terra che punta verso Volendam, in cima all’isoletta. È lunga quasi due kilometri e mezzo e larga poco più di trenta metri. Arrivata al limite estremo aveva aperto il sacco a pelo e vi si era infilata. Guardando il Sole tramontare alla sua sinistra aveva mangiato qualche Digestive. Poi, aveva portato le mani dietro la testa e aveva guardato la luce sparire, ripensando agli assurdi eventi che l’avevano riportata lì.
Eve, era stata una bambina curiosa e allegra.
Si dice che per tutti ci sia un evento di passaggio per l’età adulta. Per lei era stato il divorzio dei genitori, quando aveva 15 anni. Da quel momento in poi aveva cominciato a sentire piccoli pezzi di sè che si allontanavano. Ogni frammento che se ne andava era parte della sua curiosità, sempre disattesa, sempre delusa. E sotto quella sfera in frantumi di interesse per il mondo, stava la sua sensibilità, un po’ più nuda col passare di ogni anno.
“Non ti muovere“.
Una voce maschile le strisciò sulle spalle, su fino alle orecchie. Rimase immobile, muta.
Le girò attorno e assunse una posizione ferma, con le gambe ben piantate di fronte a lei. Lentamente anche gli ultimi respiri di luce sparivano a Ovest, ma nessuno dei due si muoveva, nessuno dei due guardava in faccia l’altro. Passarono diversi minuti così, finchè il buio non coprì anche i loro visi. A quel punto lui alzò lo sguardo su di lei.
Continua
Emanuele Ferraris