Insoddisfazione / Elogio al tempo - TheCio

Insoddisfazione / Elogio al tempo

La mia generazione è insoddisfatta.

Si affanna.

Procede da un progetto all’altro, da un traguardo a quello successivo, senza una linea fissa, vivendo con quell’ansia del non essere mai abbastanza. E sì, sto anche proiettando parte delle mie insicurezze, ma trovare sulle bacheche di tutti, ogni giorno, la parola ansia, i fumetti di LaBadessa (e i suoi cloni più o meno riusciti), insomma, non ce la stiamo vivendo bene, ecco.

Nulla è stabile, immaginare di legarsi a qualcuno o qualcosa ci fa sentire subito costretti.

Ci immaginiamo tutti grandi esploratori dello sconosciuto domani, e se non è lo stipendio a guidarci alla ricerca di un impiego migliore lo è l’ostinata ricerca del “like”, dell’ “apprezzamento” da parte degli altri.

Le “relazioni” diventano gabbia da cui scappare con l’alcool o i tradimenti, perché ne vediamo più i lati costrittivi che quelli liberatori (quando è che abbiamo la fortuna di poter parlare con qualcuno per ore, cercando di capire l’altro e capirsi allo stesso tempo?); il “lavoro” un momento da cui scappare a fine giornata; il “weekend” l’unico spazio del nostro tempo in cui essere “noi stessi”; lo studio un fine per avere un “mestiere” e basta; i “traguardi” che raggiungiamo semplicemente un motivo in più per avere un post su Facebook.

Sì, arrogantemente parlo a nome di tutti, ma sinceramente, è questo che percepisco parlando con la maggior parte di noi, leggendo blog di altri, leggendo i miei e i post di chi mi sta vicino, parlando delle paure e dei misteri di quella che chiamiamo “vita adulta”.

In un modo o nell’altro, siamo tutti invischiati in questa rete dell’insoddisfazione.

E se non ammettiamo di esserlo, ci scagliamo contro gli altri, dicendo “guarda come sono soddisfatto e arrivato io”, cercando nella loro disapprovazione una ragione per cui sentirci “meglio”, “diversi”, “alternativi”, non capendo di far parte sempre dello stesso grande schema delle cose.

Semplificando la questione e volendo staccarmi e allontanarmi dalla ricerca delle sue cause (genitori che hanno riposto in noi i loro sogni infranti con lo scoglio del reale? Società del qui ed ora che ti spinge a soddisfarti sempre e subito? Generazioni che hanno sacrificato sull’altare dei loro privilegi acquisiti il nostro possibile futuro?), vorrei fermarmi un attimo.

Ragionare a mente fredda.

Tutte le cose che viviamo, alla fine, sono umane. Normali. Siamo solo una delle miliardi di storie che vengono raccontate dagli atomi di cui siamo composti. Nulla più. Questo potrebbe togliere senso al tutto, portarmi al nichilismo.

Per carità.

Non sempre riesco a farlo. Quando l’ansia arriva e sei solo, in una camera d’Hotel a Imola, e il cuore inizia a batterti forte e tutto di sembra un mostro, quello che hai raggiunto scontato e l’incubo del perdere tutte le persone importanti diventa qualcosa di estremamente reale, tutti questi bei discorsi scompaiono.

Però, vorrei riuscire a farlo sempre: capire che alla fine, tutto è nulla. Che la mia storia, vissuta dal di fuori, è una normalissima storia di un essere umano, che non ha nessun gran destino se non fare le sue cavolate, che non deve fare nulla se non provare a vivere al meglio il tempo che gli viene concesso.

Che è libero di fare quello che vuole, sempre. E che ogni azione che compie è una scelta, senza esservi costretto, da nulla, se non da se stesso.

Alla fine, il tempo, salva e distrugge tutto. L’unica cosa costante nella vita è che va avanti, che noi vogliamo, o no. Il dolore scomparirà e rimarrà un retrogusto dolceamaro, quello che ci sembrava insormontabile diventerà una delle tante cose che abbiamo fatto.

Andare in palestra mi ha reso conscio del fatto che per avere le “belle cose” bisogna faticare e ci vogliono anni.

Ci impiegherò anni a diventare un professionista. Ci impiegherò anni a diventare quello che oggi voglio diventare, e in quel momento sono già consapevole che comunque continuerò a camminare, non raggiungendo mai quello che voglio essere.

E da un lato sembra una missione destinata ad un suo fallimento intrinseco, dall’altro invece è fantastico: vuol dire che ogni giorno diventa importante in questa ottica, ogni momento assume un suo significato nel tempo.

Ciò che dura nel tempo, è vero: le amicizie, la famiglia, le relazioni (quelle vere), le passioni. Il tempo è il giudice finale di tutto. Siamo nulla in confronto alla sua grandezza e questo, anche solo a scriverlo, mi fa sentire un poco più libero.

Fra diecimila anni nessuno saprà chi ero io, ma nessuno saprà neanche chi era Steve Jobs, Giulio Cesare o Alessandro Magno. Saremo tutti puntini più o meno rilevanti, e alla fine ci rimarrà l’unica cosa veramente nostra di tutto questo gran casino: la nostra esperienza.

Che nei grandi schemi è poco.

Per noi, è tutto.

Decio

A cura di decio

Ho studiato economia, alla ricerca della strada della mia vita. Nel frattempo scrivo, leggo, ascolto musica e gioco ai videogiochi.

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