Degli spaghetti di soia. - TheCio

Degli spaghetti di soia.

Mi guarda dal fondo del letto, uno sguardo stanco e spento; i colori che portava negli occhi sono nascosti e appiattiti, ridotti ad un grigio piatto e privo di profondità.
Il sole per un giorno si è preso una pausa e ha lasciato la città alle nuvole e alla pioggia quindi siamo rimasti a casa, in camera. La temperatura, comunque, non ci lascia pace.
Mi scruta il volto. Probabilmente cerca di leggere ciò che sto pensando. Come per istinto cerco di annullare qualsiasi espressione possa lasciar trapelare qualcosa. Non sono sicuro di esserci riuscito.
– ..e quindi niente. Uhm? – Mi dice distogliendo lo sguardo.
Mi ha visto. Ha capito. Non sono riuscito a nascondere niente. Il caldo ha già conquistato la stanza; la finestra spalancata cerca di infilare in camera sua tutta l’aria bollente di Biella, il ventilatore non fa altro che soffiare un alito umido e rovente sulle nostre piaghe.
Sto cercando le parole giuste ma la realtà è che non ce ne sono: questa conversazione e tutte quelle che le assomigliano non dovrebbero mai avvenire, queste parole dovrebbero restare sigillate sottopelle.

– Io non posso farci niente. Non mi decido, non mi scelgo. Non puoi pretenderlo da me – dico dopo qualche minuto di pausa, – se potessi, non mi sceglierei mai.
Come un gatto si allunga sul letto, mi raggiunge dal lato opposto e appoggia la testa sulle mie gambe. Sembra di essere di nuovo a Maggio, siamo persone nuove e ancora lei non sa chi e cosa sono. Le mie dita con una leggera vibrazione si infilano tra i sottili fili dei suoi capelli, li pettinano, li accarezzano e io mi godo la leggera sensazione di solletico sulla mia pelle. Mi immagino stringere quei capelli nel pugno, tirarli a me, con forza. Sono sicuro che se lo facessi si spezzerebbero tutti. Non sono brutti o rovinati ma danno l’idea di essere tremendamente indifesi e inconsistenti, eterei. Come gli spaghetti di soia.
-Dove sei ora?- mi chiede senza spostare un centimetro del suo corpo, liberando dalla bocca un denso fumo blu che sale lento e infine esplode quando incontra il flusso del ventilatore.
-Cosa vuoi dire?-
-Ma sì, dai! Tu non sei mai necessariamente dove è il tuo corpo- mentre parla inspiro profondamente. Lei non lo sa ma quello che sta per dirmi mi farà malissimo, lo so -ecco perchè non funziona. Io vorrei stare con te, ma non so dove sei, non so dove cercarti. Quindi, ora, -si gira verso di me con la testa- mentre stringi la testa di questa bellissima donna, sdraiato nudo su un letto impregnato di caldo e odore di sesso, dove sei?
Sta ridendo, una risata leggera e appena percettibile che rilassa tutta la stanza. Mentre mi porge la canna che stava fumando osservo il suo collo, le sue scapole, il piccolo seno; il perfetto color latte della sua pelle non c’è.
Il mondo oggi sembra meno vivido, i bianchi e i neri sono sporchi, macchiati e impuri. Tutto è spruzzato di un giallino insapore e neutro, la luce si porta con sè questo fardello cromatico. Ne è affaticata; nulla splende.
-Non lo so, tra gli spaghetti di soia forse- rispondo svogliatamente -oppure non sono proprio da nessuna parte.
-Da qualche parte devi pur essere, idiota- quel sorriso che ha sulle labbra è per me.
-No, non credo. Non sempre è necessario essere, o almeno, non sempre è necessario essere per forza in un punto solo, credo.
Mi fissa e il sorriso diventa più dolce. Sposta la testa sul mio petto e con calma inizia a far stridere le sue unghie sul mio addome. Siamo arrivati.
Questa è la fine, il limite massimo. Da qui in poi, se parlo, ciò che dirò sarà solo un generico discorso di fobie e paure interiori, ma soprattutto, personali. Lei comprende l’impossibilità di capire certe cose (quelle più intime) di alcune persone, lo accetta; è una capacità matura e nobile ma la cosa importante in realtà, è che non comprende tutto di me. Forse per questo non sono mai col mio corpo e lei, forse sto solo cercando una scusa per sentirmi meno in colpa. Lancio ciò che resta dello spinello fuori dalla finestra.
-Potessi scegliere, tu sceglieresti di essere? E poi di fare quello che stai facendo o di vestire i panni di qualcos’altro?- mi chiede senza smettere di disegnare sulla mia pancia -che ne so, essere un armadillo o una aloe vera.
-Non lo so, forse sceglierei di non essere, o se proprio devo essere, voglio essere tutto.
-Essere…- sussurra come tra sè e sè. Un soffio di aria fresca entra dalla finestra, entrambi ne godiamo in silenzio; lei socchiude gli occhi, sigilla le labbra e allunga la fronte verso l’alto, per prenderne il più possibile. Questo piacere finisce e controvoglia spalanca gli occhi su di me. -Spaghetti di soia. Sei proprio un coglione.

Emanuele Ferraris

A cura di Emanuele Ferraris

Mi piacciono la musica, le droghe leggere ed evitare le mie responsabilità.

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