I nostri colori. I peccati. Le croci inconfessabili che ci portiamo dietro da anni.
Strisciando, non vivendo. Arrancando, non correndo. Con le spalle cariche delle nostre paure ci avviciniamo sempre di più al baratro. Incerti se saltare giù. Coltelli conficcati nelle nostre spalle. Ormai ci avevamo fatto l’abitudine. Sapete che i medici consigliano di non rimuovere un coltello subito se non quando si può medicare?
La lama ferma il fiotto di sangue che altrimenti uscirebbe. Così ci si abitua al dolore, e il coltello diviene parte di noi. Ogni tanto quando qualcuno lo sfiora fa male, fa urlare. Un giorno, magari mentre state dormendo, arriva qualcuno e toglie il coltello.
In quel momento cosa si fa? O si corre dal medico o si muore dissanguati. I bordi della ferita, ormai infetti, fanno da argine a quel fiume incessante e caldo che ci copre. Ci guardiamo intorno e vediamo oscurità. Sentiamo mani che ci prendono. Ci divincoliamo perché pensiamo che vogliano farci altro male. Oh, piccola egoista vittima. L’unico male che hai mai ricevuto era quello che ti facevi tu lasciando quel coltello lì.
E allora capisci. Sei tu che, volontariamente o meno, ti eri conficcato quel coltello sulla spalla. Sapendo benissimo che non faceva parte di te, che non eri tu, che ti avrebbe fatto male. Cosa volevi dimostrare? Di essere più bravo degli altri a sopportare il dolore? Di avere dei poteri particolari tali per cui non ti avrebbe fatto male girare con una ferita infetta? Chi ti credi di essere?
Tutti abbiamo bisogno di confessarci. Tutti pecchiamo. Tutti abbiamo rimorsi, fino a che non li lasciamo andare. Chiudendoli dentro di noi diventeranno solamente delle bestie più grandi. Una tortura russa consiste nel prendere un topo, un coperchio di metallo ed una fiamma. Dopo aver messo il topo sullo stomaco di una persona e averlo intrappolato con il coperchio, si scalda con una fiamma. Il topo, impaurito, inizierà a scavare.
Ecco, questo è quello che ci facciamo quando lasciamo che le nostre paure ci mangino dentro. Quando non le lasciamo libere. O peggio ancora, decidiamo di trattenerle. Perché ad alcuni di noi può anche piacere essere la vittima, quello da compatire, il poveretto chissà che ti hanno fatto. Brutto da ammettere, ma ogni tanto anche io ho fatto così.
Bisogna scegliere di non soffrire, dopo un certo momento non si hanno più scuse. Il dolore diviene una scelta. Il farsi prendere in giochi alieni a noi, pure. Il fregarsene? Ancora di più. Alza il coperchio. Ti brucerai. Ma il topo non entrerà nelle tue viscere.
La cicatrice del coltello rimarrà. La mano dovrà guarire. La consapevolezza della scelta sarà più forte di entrambi. Dovrai cambiare però. Basta mettersi coltelli. Basta farsi schiacciare dai pesi. Tutti siamo umani, tutti soffriamo, tutti portiamo pesi. Ma condividerli, confessare i propri mostri del passato. Ecco la chiave. Condividere, ascoltare, accarezzare con dolcezza un altro essere umano mentre ti fa vedere una parte della sua anima.
I nostri demoni sono parte di noi. L’impressione che invece ci lasciano quelli degli altri, no che non fa parte di noi. Non imbruttiamoci portandoci dietro consapevolmente i peccati fatti e subiti. Tutti pecchiamo. Tradiamo. Chi in un modo, chi in un altro. Indugiamo. Guardiamo negli occhi troppo a lungo o troppo poco. Facciamo cose senza sentimento. Non facciamo cose per paura di provare sentimenti. Siamo umani, troppo umani.
Ammettiamo con noi stessi le nostre mancanze. Tante e forti. Brutto ammettere di non essere perfetti. Brutto? Umano. Trovando anime consapevoli e passando del tempo con loro possiamo alleviare questo peso esistenziale.
La mia generazione è divisa. Da una parte i dormienti. Dall’altra gli svegli. Non sono sicuro che sia solo la mia generazione, forse è la storia dell’uomo. I dormienti però sembrano avere la meglio. Forse perché sono già morti e non stanno vivendo? Si accontentano di vite vissute a metà, inseguendo sogni non loro, lavorando per comprare cose che poi butteranno e cambieranno l’anno dopo, spendendo soldi che non hanno.
Noi svegli, viviamo. Consci di quanto possa essere doloroso. Ma ci sono momenti che giustificano tutto questo. E chi è arrivato fin qui a leggere, sa benissimo di cosa sto parlando.
Decio