Ogni tanto ho ancora paura. Ogni tanto ho ancora degli incubi. Ricordi di giornate che mi hanno cambiato, nel bene e nel male, per sempre. Parole, frasi, situazioni. Le rivivo nella notte, come se non addirittura più intense di come le ho vissute la prima volta, di sicuro meno incisive delle volte che già mi popolavano di bestie la mente la notte, quando mi sembravano solamente i deliri della stanchezza di un ventenne insicuro.
Dopo questi incontri, in metro perdo il mio sguardo guardando fuori dal finestrino della metropolitana. Mi chiedo se ho fatto la scelta giusta, se riuscirò a raggiungere le quote di produzione, se ho ferito qualcuno. Torno ad essere regolato da dinamiche esterne e mi gelo sul posto. Tremo.
Mi chiedo se sto facendo abbastanza. Per me. Se sono abbastanza per meritarmi la presenza di chi è nella mia vita. Se anche questa volta perderò le persone a cui voglio bene. Se se ne andranno anche loro. Lasciandomi solo. Come un cretino, con un cellulare in una mano ed un caffè da asporto nell’altra.
Ecco, questo è quando Ciccio Decio scappa dal cerchio della patatezza.
Poi l’ombra degli incubi della notte lascia spazio alla realtà della giornata.
E la verità è semplice, lì, davanti ai miei occhi. Non sono più quel ventenne insicuro. Non sono più un bambino lasciato in disparte perchè cicciottello e goffo. Goffo lo sono rimasto, per carità. Mi guardo, nel riflesso, e vedo un ragazzo (non dico uomo perchè lo sarò il giorno in cui me guadagnerò a pagnotta e sarò davvero indipendente) tutto sommato di bell’aspetto, arrogante, in forma.
Ho passato un periodo della mia vita in cui alzarmi dal letto era già una piccola vittoria. Ricordo in modo chiaro, come se fosse ieri, il piccolo sorriso che mi prendeva il riuscire ad arrivare in classe e a sedermi a lezione, quando l’unica cosa che avrei voluto fare era stare nel letto a guardare il nulla. Mi sedevo, accendevo il pc e un po’ seguivo lezione, un po’ cazzeggiavo. Ogni passo mi sembrava di essere fatto di piombo.
Facevo tum. Tum. Tum. Quando c’era la pausa mi scollavo dalla sedia, prendevo un caffè, dicevo due parole e ascoltavo, annuendo. E ringraziavo qualunque principio divino e non esistente per avermi dato una mano a vivere anche quella giornata. Salvo poi aver capito, dopo diverso tempo, che quella forza era sempre stata lì. Che non erano gli altri a darmela, ma ero io.
Bisogna ricordarsi da dove si viene, i momenti passati, le sfide affrontate. Quando tutto mi sembra non avere senso, mi rimembro che non è la prima volta che mi è successo e, nonostante questo, sono andato avanti. Anche quando mi sembrava di essere al buio e ho deciso di procedere a tentoni. Pian piano gli occhi si sono abituati e ora ci vedo bene.
Così, ora, mi trovo qui, una sera, a scrivere. Davanti a me infinite porte si aprono, non ho idea di nulla e, sopratutto, non ho paura di nessuna di esse. Arrogante, certo. Ogni tanto anche io crollo, ho i miei momenti, ma il destino, il fato, il caso, il caos, mi affianca sempre qualcuno a darmi una mano. E quando quel qualcuno non c’è o quando tocca solo a me, la forza, da qualche parte, l’ho sempre trovata.
Ricordarsi il passato, ma anche lasciarlo indietro. Quando parlo con chi mi conosce un po’, dice che alla fine sono rimasto lo stesso. Io non ne sono così convinto. Sono diverso, sono io, ma una parte di me non c’è più. Brutto da dire, ancora peggio da ammettere, ma la parte che mi faceva avere paura, sentire un patatone insicuro, ormai è piccola piccola. Ogni tanto prova a tornare, ma viene spedita in un angolino, nel suo cerchio della patatezza.
L’avete visto Inside Out no? Ecco. Immaginate una mia versione cicciotella. Che gnugna tutto il tempo. Giudica, punta dita e piange quando lasciata da sola. Vive di paranoie e si lascia influenzare da quello che succede all’infuori di sè, anche quando va tutto benissimo. Ora, quando quella parte di me prova a prendere il sopravvento [ogni tanto ancora ci riesce, specialmente quando sono stanco e un poco stressatino] viene spedita nel suo cerchio della patatezza. Che stia lì e ogni tanto parli, ricordandosi però di essere solo una parte.
Si cambia ed è faticoso ammetterlo con se stessi, sopratutto. Ora, però, non ho più costantemente paura. E se questo significa diventare un poco più stronzi di prima, benvenga.