Le dune di sale - TheCio

Le dune di sale

Esiste, nelle remote zone dell’Asia, un deserto la cui morfologia è quanto mai peculiare. Si dice, infatti, che esso sia fatto interamente di sale.  Eppure, per quanto bislacco, esso non si trova segnato su alcuna mappa o cartina e l’unico modo per trovarlo è quello di imbattervisi per puro caso. La distesa salina si spiega davanti gli occhi dell’ignaro viaggiatore d’improvviso, totalmente inaspettata. D’un tratto la vegetazione si dirada, l’erba diventa man mano gialla e riarsa, fino al netto confine – una linea così perfetta che sembra uscita dalla mano di un esperto cartografo – creato dalla sabbia chiara. Tutto è di un bianco abbacinante, neppure uno screzio di verde a colorare l’orizzonte; solo strizzando gli occhi si è in grado di distinguere un piccolo punto in lontananza. Quell’ombra tremolante, grigio pallida, è la vecchia del deserto di sale. Lunghi e crespi capelli bianchi le incorniciano il volto rugoso, gli occhi acquosi vagano come a contare ogni cristallo, uno ad uno, e tra le mani stringe un logoro sacco di iuta da cui tira fuori pugni di sale che getta tutt’attorno, come a spargere una semenza o dar da mangiare ai piccioni, con ritmo regolare senza fermarsi mai.

Ad avvicinarla, si dice, che la donna non s’accorga della presenza altrui e che, seppure apostrofata, non smetta neppure per un secondo di cospargere sale su sale; dalle sue labbra secche e screpolate fuoriesce con voce flebile una filastrocca o una poesia sempre diversa. Un giovane poeta, di ritorno da un lungo viaggio per il mondo, nel suo memoriale le attribuisce questi versi mormorati al chiaro di luna:

La mia pelle è secca
Senza le tue mani a toccarla
 
La mia bocca screpolata
Senza le tue labbra a baciarla
 
Il mio cuore arido
Senza la dolce curva del tuo sorriso
A dirmi che m’ami
 
La luna proietta
Sul mio letto vuoto
L’ombra della tua presenza
 
O forse sono ricordi
Neppure esistiti
 
Sogni
Vissuti nel buio dell’insonnia
A luce spenta

Molti sono gli scettici riguardo l’esistenza di questa donna, ma le testimonianze degli incontri fortuiti tra lei e vagabondi sono molteplici. I più antichi racconti, diffusi tra le popolazioni mongole, raccontano di una giovane donna dai folti capelli neri che, sperduta in una valle erbosa, ammaliava con le parole i viaggiatori solitari e dava loro da mangiare manciate di sale, privandoli del senno. Altre storie ancora narrano di una donna di mezz’età che, resa folle dalla solitudine, spargeva sale sul terreno, scacciando gli avventori e maledicendoli con strani incantesimi. Questi e molti altri racconti frammentari descrivono la donna delle dune di sale e la sua storia, ma nessuna è terribile come la leggenda che viene tramandata tra le tribù nomadi del deserto:

Prima della nascita del deserto e prima ancora che gli uomini si spostassero di luogo in luogo, sorgeva nel cuore di una valle rigogliosa, una città fiorente. Le attività e i commerci erano facilitati dalla presenza di una grande ricchezza di risorse e gli abitanti di quella terra non avevano mai conosciuto cosa fosse la fame, la sete o la povertà. Alle porte della città, sorgeva un giardino la cui bellezza era così rinomata che in molti vi si recavano per poterlo ammirare e coglierne i frutti. Custode e proprietaria era una giovane la cui unica gioia erano gli alberi, i frutti e l’erba tenera del suo giardino. Non v’era maggiore orgoglio per lei, né guadagno più grande, nel vedere le donne fermarsi a rimirarne i fiori e lodarne i colori, ascoltare i viaggiatori stanchi sospirare soddisfatti, all’ombra delle fronde ondeggianti, addentare una mela e elogiarne il sapore.

Gli anni passavano e gli abitanti e i viaggiatori di quelle terre erano certi di trovare nel giardino della donna un rifugio in cui trovare ristoro; fino a quando una terribile siccità colpì la regione e ad una ad una le risorse si fecero sempre meno, lasciando quella che era una terra florida, scarna e povera. Ultimo superstite era il piccolo giardino che, grazie alle cure della giovane, resisteva strenuamente, eppure, nonostante i suoi sforzi, anche gli alberi del frutteto cominciarono a seccare e morire. Tormentata dal destino di quel giardino che aveva per così tanto tempo amato e protetto, la donna impazzì e, con orrore degli abitanti della città e di quanti ancora passavano nella regione, acciecata dal dolore di vederne appassire i fiori e le piante cominciò a estirparli prima ancora che la siccità potesse colpirli. Non rimase nulla, niente che potesse ricordare che in quel luogo una volta sorgeva uno splendido giardino; la donna, portata a termine la sua missione distruttrice aveva dato alle fiamme ciò che rimaneva della tenera erba verde – e come bruciò! La storia narra che la giovane, ormai sfigurata dal suo folle dolore, rise per un intero giorno ed un’intera notte dinanzi a quel fuoco che divampava e mangiava voracemente ogni cosa. Ancora oggi, tra i beduini, lo scoppiettio del fuoco viene chiamato la “risata del folle” e più di un uomo ha raccontato di aver sentito, dopo aver osservato troppo a lungo le fiamme crepitare, un lungo lamento simile ad una sinistra risata e che tornati in sé erano rimasti con la sensazione di un dolore indefinito al petto.

La donna – continua la leggenda – avrebbe poi cominciato a cospargere il terreno di sale senza fermarsi per dormire o mangiare, giorno e notte lanciava manciate di sale tutt’attorno così da non veder mai più germogliare un solo stelo d’erba. Per quanto gli uomini e le donne della città provassero a parlarle o cercare di fermarla, nulla sembrava riportarla al senno. Fissava con occhi vacui chiunque le si avvicinasse, senza mai fermare il lavorio delle sue mani, ormai secche e sanguinanti per le manciate e manciate di sale. Dopo dieci giorni di estenuante e febbricitante impegno, la ragazza scomparve senza lasciare alcun segno. I più pensarono fosse morta, altri che fosse tornata in sé e che avesse deciso di abbandonare un luogo che le portava alla mente e al cuore un così forte dolore; altri ancora, invece, credettero che il suo corpo si fosse anch’esso prosciugato e tramutato in sale. La siccità continuò per molti anni a seguire la sua scomparsa e la città venne abbandonata fino ad essere dimenticata, cancellata definitivamente dalla memoria e dalle cartine. Gli ultimi esuli di quella terra portarono con sé la storia, tramandata di generazione in generazione e divenuta racconto, di come il sale avesse continuato ad aumentare e espandersi di anno in anno, erodendo ciò che incontrava sul suo cammino e della strana figura di una donna che erano certi di aver scorto in lontananza.

I discendenti di quelli che un tempo erano gli abitanti della città divennero un popolo errante, senza terra o patria che gli appartenesse. Tra quanti hanno avuto la possibilità di passare una notte in compagnia di questi viaggiatori conoscono il rispetto che essi nutrono per il deserto e, ad un ascoltare attento, ne avranno colto la paura, ma anche l’intima compassione; poiché, in quella distesa immensa, errano le anime perse.        

A cura di Federica

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