Ti siedi, incrocio di sguardi. Quell’attimo di complicità causato dalla situazione buffa. Notare lo sbuffo di qualcun altro di fronte all’ennesimo nemico dei deodoranti. La sera, mentre ci si dirige da qualche parte a fare aperitivo cercando di presentarci nel modo migliore.
Milano è una dannata città. Penso che ti trasformi. Da piccolo vi trascorrevo tanto tempo. Era diversa, più cruda e grigia. Ora è colorata. “La città più Europea di Italia”. Non so quanto sia una mia sensazione, ma sembra che ti chieda un certo livello anche solo per uscire. Magari è una impressione, ma se per Torino non me ne fregava nulla di uscire in tuta, qui mi faccio mille fisime anche solo per andare a correre. Taaac, selfie. E via con Dio.
Ninfe, naiadi e driadi lasciano una impressione attorno a loro, un’aurea di lucentezza e spensieratezza che combatte a mani nude con quello che pensavo Milano fosse. Sicure di loro non incespicano su trampoli che metterebbero in imbarazzo un equilibrista del circo. Mi immergo in questo fiume di persone, immaginandomi sguardi contraccambiati e perdendomi in viaggi mentali lunghi una fermata di metro.
Forse, magari, se, e scende dalla metro. Magari, forse, se e mi trovo a Porta Romana. Così bello così facile perdersi in un stupido ed improbabile gioco mentale, senza conseguenze se non una piccola amarezza per la propria inabilità a lanciare una conversazione. O forse normale timidezza?
Innamorarsi sui mezzi pubblici: parliamo di un’assenza di coraggio o della consapevolezza del volersi evitare il complicato rituale di corteggiamento? “Le scrivo, non le scrivo, perchè non risponde, che fare? Usciamo? Parliamo? La bacio? I suoi amici, le sue bellissime amiche, i suoi genitori, nonni e protocugini?”
In questo modo fuggiamo da un mondo che potremmo conoscere, consci o meno della nostra poca volontà di togliere l’ancora dal porto sicuro dello stare fermo.
#6 articolo di Decio